Dal diario di Michele Lanata, catturato dai tedeschi e fatto prigioniero in un campo di concentramento a Monaco nel 1943
Si può descrivere l’orrore di un campo di concentramento?
Si può cercare di parlarne e provare a capire cosa è stato?
Forse l’unico modo è quello di ascoltare, sentire, vivere le testimonianze che sono arrivate fino a noi.
Noi di Themeltinpop.com abbiamo avuto il privilegio di leggere il diario di Michele Lanata, genovese che fu catturato dai tedeschi nel 1943 e fatto prigioniero in un lager a Monaco.
Provare a immergersi in queste pagine è davvero un’esperienza emotiva molto intensa. Un valore storico che non si può quantificare. Sono le parole di un ragazzo, chiamato a svolgere il servizio militare nel periodo di guerra, nel 1941, nell’aviazione.
Le pagine del diario, scritte fitte, iniziano pochi giorni dopo l’8 settembre del 1943.
“In fuga da Nisida con tre amici ci ripariamo per i monti siamo ospitati in una casetta e si dorme in un pagliaio”
Ma la fuga verso la Liguria purtroppo terminerà a Marina di Carrara dove Lanata e i suoi compagni vengono bloccati e catturati dai tedeschi.
“Sono prigioniero, nella mia terra, di gente straniera.”
"Sono in una baracca con i miei amici, si parla di casa senza notizie, con le lacrime agli occhi pensiamo al destino malvagio che ci è stato avverso."
Qui finisce la speranza di tornare a casa e incomincia l'incubo: la deportazione a Monaco.
“La prima impressione è quella di una città cosmopolita formata di innumerevoli baracche che in ordine si stendono per tutta l’area del campo. Qua vi sono Italiani, Americani, Inglesi, Russi, Francesi, Indiani, Canadesi, Polacchi, Serbi, partigiani, ribelli, insomma un vero minestrone di razze e di lingue. Ci prendono identità, indirizzo, mestiere, soldi, impronte digitali e ci danno un piastrino colla matricola e così passano i giorni.”
È una scrittura precisa, colloquiale, uno sfogo quasi quotidiano, un flusso di voci e immagini che scaturiscono come un bisogno interiore, servendosi di ogni strumento disponibile: penne nere, blu e matite, anche colorate.
Abbiamo pensato di pubblicare ogni giorno stralci di questa preziosa narrazione.
Provate anche voi ad immergervi in questa storia, cercate di vedere quello che vede Michele, provate a sentire quello che sente lui: il freddo dell’inverno tedesco nelle baracche, la fatica del lavoro, la noia di stare sdraiato in una brandina. La nostalgia di casa. Il senso di colpa per aver venduto al mercato nero l’orologio di suo padre per sopravvivere.
Ascoltate la voce di Michele.
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