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Immagine del redattoreRedazione TheMeltinPop

Una porta blindata



di Giusy Laganà


Mi ero svegliata nella notte chiedendomi perché fosse successo. Cosa non mi ero perdonata per essere così infelice? Forse non avevo visto la quotidianità per quello che era.

Mi sentivo sola, smarrita; delusa da me stessa nonostante l’amore smisurato che ti avevo riversato addosso, scivolando in un senso unico. Può il troppo amore ferire? Può smarrire, umiliare, squarciare?

Erano quelle le domande per cui cercavo una risposta in quella notte senza sonno, mentre mi accarezzavo la pancia che cresceva e intanto guardavo dormire l’altra mia bambina così piccola. Speravo riposasse anche per me. Mi auguravo che sognasse e che fosse felice, nonostante la tua assenza, nonostante il mio dolore.

Le invidiavo quella pace che non riuscivo a trovare. Dormiva il sonno dei giusti mentre io avevo commesso un errore dopo l’altro.


Non dovrebbero sbagliare, le madri. E anche per questo mi odiavo un po’ di più.

Le telefonate notturne, gli sguardi indiscreti degli amici e dei vicini di casa minacciavano il mio precario equilibrio. In fondo, ci speravo ancora. Credevo, ancora una volta, nella bugia di poter tornare come all’inizio, ingannata e inconsapevole, ma forse felice.

Ero convinta che tutto si potesse ricucire, come una vecchia coperta a cui sei affezionata. Di quelle che non vuoi buttare via, che ti tieni stretta, che vuoi conservare nel tempo per ripararla e ripararti e allora vuoi inserire delle toppe, sistemare i buchi, proteggerla dai parassiti.

La nostra relazione, invece, non riuscivo a proteggerla e a conservarla.

Ero in balia degli eventi. Possedevo un’unica consapevolezza: l’essermi innamorata di un uomo sbagliato. Un uomo che mi aveva lasciata sola nel momento più delicato. Ma esiste un momento giusto per farsi lasciare?

Ero disposta a proteggere i miei figli dalla tua assenza? Sarei stata una madre sola ad amarli a metà. Una donna che non avrebbe lasciato entrare più nessuno.

Nessuna magia, nessun inganno.

Per subire una rottura imposta, una rottura che ti si riversa addosso, che travolge ogni cosa, compresa la promessa di quell’uomo, quello che sembrava fosse quello giusto, quello di cui ti sei innamorata, quello per cui hai scommesso tutto, persino te stessa.

Io credo che quel giorno non esista. Il giorno in cui l’amore si spezza e ti spezza è sempre un giorno sbagliato.


E’ il giorno in cui tocchi il fondo. Il giorno in cui ti attanaglia e ti seduce l’incanto malevolo che ti fa credere che se lui non c’è più, non esiste più nulla. Il giorno in cui sprofondi nel vuoto e facendolo ti accorgi che non è solo un vuoto. Che è una bugia. La stessa che ti faceva credere che “senza lui non esisti nemmeno tu.”

Ma invece io ci sono. Esisto. C’è mia figlia che dorme accanto a me e forse presto ci sarei riuscita di nuovo anche io. Mi sarei bastata.

Nessuna magia, nessun inganno.

Adesso era il tempo del silenzio, di quel silenzio strappato via dal continuo squillo del telefono, dalle parole aspre, dalle risate di scherno che mi spingevano nel buio più profondo. L’eco orgoglioso di tutti quei “Te l’avevamo detto!”da parte di chi avrebbe dovuto abbracciarmi, comprendermi, giustificarmi e invece preferiva deridermi.

Ripenso a quella versione di me ingenua, innamorata. Vestita di bianco, il mazzo di fiori rossi. Gli occhi lucidi, il braccio di mio padre ormai stanco, il sorriso velato degli invitati. I tuoi occhi profondi così incerti, sfuggenti. “Perché non mi guardi?” ti avevo chiesto. “Sei troppo bella.” Mi avevi risposto. Era la bugia in cui volevo credere. La bugia più grande.

Perfino il sacerdote mi aveva avvertita, instillando qualche dubbio sulla tua vita di eccessi. Ma io, testarda e ostinata, volevo andare avanti. Volevo che tu fossi mio.

Mi avviluppavo tenace intorno all’ennesima bugia che mi raccontavo da sola, in nome di un’inesistente reciprocità: tu saresti cambiato per me.

Per questo sopportavo l’incisione di ogni ferita. Mi avevi regalato una felicità, arrivata e dileguata troppo in fretta.

Sopportavo l’odore di un'altra sulla tua pelle che non lavavi via, sfidandomi in silenzio, quando rientravi a notte fonda. Quando entravi nel nostro letto. Quel profumo non mio, mi stringeva la gola, mi bruciava gli occhi. Mi strappava il cuore.

“Non conta nulla. E’ te che voglio. Lo sai. ” Mi baciavi tra i capelli che non mi lavavo più. Mi davi la schiena e ti addormentavi.


Chi eri? Mi chiedevo in quelle notti sempre più bianche, sempre più buie.

Percepivo il tuo corpo nudo accanto al mio. La tua pelle chiara, i capelli sparsi sul cuscino,gli occhi chiusi. Percepivo il tuo respiro regolare, pacifico. Dormivi anche tu di un sonno dei giusti che non ti apparteneva.

Come tu non appartenevi a me.

Dov’era finita la mia favola?

Non c’era più. Ero una donna sola. Calpestata dai pettegolezzi di paese. Una buona a nulla, una poco di buono. Una che il marito “manco se l’era saputo tenere.”

E così se l’era preso un’altra. Un’altra con un profumo più buono del mio.

Un’altra che insieme a lui mi aveva spinto nel buio.


Ma ora sono qui e la luce è accesa anche dentro di me.

Sto per diventare madre, di nuovo. Lentamente ho navigato il vuoto, ho fatto pace con le ombre.

Ho capito che l’amore non si impone, non si plasma. Non è malleabile.

L’amore se ne frega, come dice una canzone.

E forse è giusto che sia così, un sentimento mutevole, sfuggente.

Perché è così che ti tempra. Che ti fortifica.

Che ti insegna a bastarti da sola. Ad affrontare gli incubi e i demoni.

Non è l’amore che deve darti tregua. Completarti o darti pace.

Devi farlo tu, da sola. Amarti per prima. Questo avrei insegnato ai miei figli. Gli avrei insegnato a non vivere di solo amore. Gli avrei raccontato che nella vita, volente o nolente, avrebbero dovuto affrontare i loro incubi ed essere forti. Come uno scoglio in mezzo alle onde non si sarebbero lasciati trasportare, sarebbero cresciuti, sarebbero arrivati lontano, sarebbero stati felici.

E io ero stanca di essere una finestra aperta.

Volevo solo diventare una porta blindata.



 


Giusy Laganà, classe 1987, laureata in Sociologia e Direzione d’impresa con un Master in Comunicazione Social, admin di www.viaggiletterari.com e Live Libri in Diretta, ha pubblicato il racconto “La falena e la lampadina” (Tulipani edizioni), La casa azzurra nell’antologia Cento Parole (Giulio Perrone) e articoli su alcune riviste (Kitez, Grado Zero).


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