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CANDELE NEL GRIGIO. Una luce poco fa

  • Immagine del redattore: Redazione TheMeltinPop
    Redazione TheMeltinPop
  • 25 feb 2021
  • Tempo di lettura: 2 min

Aggiornamento: 23 apr 2021


(Piccole occasioni di gioia quotidiana)



di Elena Nieddu


Accendi le candele, nelle giornate grigie. Moccoli consumati, allargati sul fondo dei bicchieri, o vaschette di acciaio svedese che durano il tempo di dire: voglio.

Hai provato a farlo anche quando l’azzurro riverbera sui vetri della finestra, raccontandoti l’estate. Non è la stessa cosa. E’ come se il giorno, con troppa allegria, risucchiasse i bagliori della fiamma, annullandola, perdendola in miliardi di particelle luminose.

Le giornate grigie, invece, sembrano fatte apposta per far brillare le candele. È una questione di accordi, ti rispondi così alla domanda più ovvia, sapendo di non sapere e, in fondo, non ti importa più di tanto. Ti piace, invece, avere un piccolo sole, a portata di mano, sulla scrivania piena di carte, riflesso sulla finestra, mentre tutto il resto sembra svuotato di vita.


Vedi la città, oltre quel vetro. Centinaia, migliaia di balconi ti guardano, in un alveare continuo, interrotto solo da cupole rotonde, arcate di azzurro.

Nei pomeriggi grigio perla vorresti entrare in una casa, sederti in cucina con una mamma e una bambina, provare a preparare una torta. Sentire il profumo che si spande dal fondo del forno. Invece, resti lassù, guardando il volo dei gabbiani, assaporando l’immobilità.

E’ in quel momento, che ti vengono in mente le candele. Ne scegli una, la prendi in mano. Provi a lasciare la tua impronta, ma la cera è ancora compatta, si limita ad accogliere con morbidezza il tuo tocco gentile. Ha un odore buono, di vaniglia, aroma di un impasto che si trasforma, in una casa, lontano da te. Hai paura di scottarti le dita, quindi fai nascere la fiamma usando un accendigas, dono di un ragazzino che, un giorno, ti ha parlato di Marrakesh e di una piazza piena di canti e incantatori di serpenti. Il fuoco, minuscolo, è lo stesso che hai visto laggiù, in una notte arroventata dal fumo degli spiedi, calmata dalle acque di una fontana.

Raddoppia, al contatto con lo stoppino.


Metti la candela su un angolo della scrivania e ti domandi perché non tu non l’abbia accesa prima: in fondo, sarebbe stato così facile. Guardi la fiamma che si muove nell’aria ferma, pensi che è vita e hai saputo farla nascere.

Intorno, il grigio risuona di quel bagliore misurato: forse anche i gabbiani, dall’alto, lo sentono.

Passi il pomeriggio guardando uno schermo, ogni tanto perdendo l’occhio in quel colore minuscolo e potente, flessibile, sensibile, che si flette e si rialza per arie misteriose. Ogni volta, ti guardi intorno, controlli gli spifferi, provi a capire cosa abbia convinto la fiamma a piegarsi in quel punto, in quel momento.

Dentro di te, sai bene quello che ignori.

Conosci la risata di chi, un tempo, hai amato. Un soffio, uscito dall’ombra.




Photo by Claudio Castellini

Elena Nieddu

Nata a Genova nel 1974, laureata in Scienze della Comunicazione all’Università degli Studi di Torino, ha conseguito il praticantato giornalistico all’Ifg “Carlo De Martino” di Milano. Nel 2019 è uscito il suo primo libro, “Senza pelle”, edito da Ensemble. Suoi racconti sono stati pubblicati da “Nuovi argomenti”, “La città”, “Letterate Magazine”. Per il quotidiano “Il Secolo XIX” si occupa di cultura, spettacoli e società.

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