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Una biografia "spericolata". Goffredo Feretto legge "Lady Constance Lloyd".




di Goffredo Feretto


Ho alle spalle 45 anni da libraio e 15 da editore e non credo sia presunzione se ritengo di avere un po’ di competenza in fatto di libri, sebbene non mi possa – e non mi voglia - fregiare del titolo di critico.

Ecco perché oso consigliare agli amici il recente Lady Constance Lloyd. L’importanza di chiamarsi Wilde” di Laura Guglielmi (Morellini Editore).

Constance Lloyd è stata la moglie di Oscar Wilde e il suo nome è quasi del tutto sconosciuto, nascosto dall’ombra giganteggiante del consorte.

Laura Guglielmi, con questo suo lavoro, accende un faro sulla vita di questa donna per tanti versi eccezionale.

Lo fa in modo del tutto “spericolato”, tanto che, se avesse chiesto il mio parere prima di avventurarsi nell’impresa (ma, ovviamente, non lo ha fatto!) l’avrei decisamente sconsigliata.

L’autrice, infatti, ha scelto di calarsi direttamente e totalmente nel corpo e nella mente di Lady Constance dando vita, perciò, alla sua autobiografia.


Ne è nato un ritratto – autoritratto – a tutto tondo che ci presenta una donna tutt’altro che creatura sottomessa vittima dell’io ipertrofico d’un uomo geniale, incostante, inaffidabile, incapace di dominare le proprie devastanti passioni, cui ha dato due figli.

Lei è colta – legge Dante in italiano, impressionando molto Oscar all’inizio della loro relazione – viaggia, scrive racconti, dirige una rivista.

Quando scoppia lo scandalo che porterà il marito alla condanna a due anni di lavori forzati per gross public indecency, omosessualità, regge il colpo e, soprattutto, non lo abbandona al suo destino recitando il ruolo di consorte ingannata e derelitta, degna della pubblica pietà.

Paradossalmente per la mentalità vittoriana, non cesserà di amarlo fino alla fine della propria breve vita. Un amore certo diverso da quello dei primi tempi di vita in comune – che peraltro non aveva escluso anche una intensa intesa carnale – un amore che per certi versi è incomprensibile a lei stessa e che non le impedirà di coltivare altre relazioni.


La riviera ligure è la cornice degli ultimi, difficili anni di Constance che amava immensamente l’Italia e la sua cultura. Morirà a soli quarant’anni in seguito alle azzardate terapie praticate da un medico genovese.

Ora mi domando: perché Laura Guglielmi ha scelto la via rischiosa dell’autobiografia, in alcune pagine immergendosi addirittura nella mente dello “smisurato” Wilde?

Credo che la risposta sia una sola: perché è consapevole dei propri mezzi espressivi, dello studio approfondito delle fonti cui ha attinto. E ha avuto ragione: il risultato lo dimostra.

A questo punto mi piacerebbe che Laura desse vita alla “biografia autobiografica” di un’altra straordinaria donna del passato, anche lei vissuta all’ombra di un uomo fuori del comune: Emma Marie Rauschenbach, consorte di Gustav Jung.



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