di Miriam Sassani
Il mio paese è molto piccolo e si trova in una regione altrettanto piccola che quasi non si vede, addirittura c'è chi sostiene che non esista.
I suoi abitanti si riconoscono dagli sguardi duri che lanciano come coltelli ai forestieri; forse non sono diversi dagli abitanti di qualsiasi piccolo paese del mondo, forse la curiosità mista alla diffidenza è naturale quando si vive in piccole comunità che abbracciano e a volte soffocano chi ne fa parte. Tutti gli abitanti amano il paese e tutti ne tessono le lodi ogni volta che ne parlano.
Perché tutti siamo il paese, tutti ne siamo la storia, la cultura, la tradizione. Siamo le pietre che lo hanno costruito, siamo la torre, il bosco, le contrade. Siamo le feste di piazza, i cantanti, le mattinate, siamo la piazza e i vicoli, i centrini e il corredo ricamato. Siamo il vino e i salami, le chiacchiere e le maldicenze, le processioni e la devozione, siamo le estati fuori e gli inverni dentro, siamo le lucciole e la neve. Siamo la sua lingua, le sue luci e le sue oscurità.
Poi lo lasciamo, il paese, convinti che la vita altrove sarà più ricca, più piena, più esaltante. E così è. Ma mai e poi mai sarà più avvolgente della nebbia di autunno che non ti fa vedere le case al di là della strada, non sarà mai e poi mai più calorosa della gente che ti piomba in casa all'improvviso, mai e poi mai sarà colma di sapori e odori come quelli della tua terra, mai sarà più allegra dei nostri riti di Carnevale. E gli odori ci resteranno dentro l'anima, resteranno ben riposti nella memoria, e quando sarà necessario riemergeranno per portare consolazione e conforto e amore, come una madre che abbraccia, sempre e comunque, i suoi figli.
Prima di ripartire, ogni volta che vi torniamo apparentemente di malavoglia, accarezziamo con gli occhi tutto quello che si può vedere, toccare, sentire, con gli occhi archiviamo immagini di ogni angolo, di ogni scorcio, di ogni albero o fontana o panchina, un ricordo colorato in una foto in bianco e nero.
Non è nostalgia, no, quella la lascio agli altri, se tornassi indietro sceglierei ancora di andar via: piuttosto è una mancanza, è la percezione di essere divisi a metà, è la consapevolezza di fare parte per sempre di un luogo, di avere radici ben salde proprio là, in quel posto amato/odiato, dove si è imparato il mestiere di riconoscersi ovunque, anche all'altro capo del mondo, e al tempo stesso è la certezza di non appartenervi più, mai più, proiettati nostro malgrado in avanti, sempre più veloci, sempre più distratti, per scoprire alla fine che tutti i posti ci rimandano là, dove tutto è cominciato.
Il mio paese è tutto questo, e forse, ma non lo dirò mai, molto di più.
Comments