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Immagine del redattoreRedazione TheMeltinPop

Snake

di Clara Negro





Marge chiude la rivista e la lascia cadere sui cuscini stinti del divano. Che cretinata leggere l’oroscopo! E ogni volta ci cade. Sfoglia in fretta le pagine e poi si ferma all’ultima in fondo, proprio prima della copertina. E che segno del cavolo il suo: scorpione. Un segno sfigato. Li aveva visti lei gli scorpioni a casa della nonna quando era bambina. Ne saltavano fuori da ogni angolo, tra sporcizia e umidità e polvere e chissà che altro. 

Siete in una fase molto buona per le proprietà che avete lontano, sia case che terreni.

Se è di quella catapecchia che parla l’oroscopo, come di una proprietà lontana, beh, se la può anche tenere. 



Accettate l’offerta di un Capricorno, non giudicate troppo severamente un Gemelli.

Di Gemelli Marge non ne conosce e in quanto al Capricorno del quale dovrebbe accettare una proposta l’unico che le viene in mente è Mitch, uno sfigato che meno vede e meglio è. 

Tutte cazzate quelle dell’oroscopo.

E allora perché ci perdi tempo? Un’abitudine, nient’altro che una stupida abitudine. 

Posa la tazzina del caffè che non ha neppure assaggiato e ciabatta verso la finestra. Lo stronzo che ha rimorchiato ieri sera ha impestato la casa con la puzza dei suoi sigari da quattro soldi. Se ci sarà una prossima volta, e sarà difficile, non gli permetterò di accenderlo. Neanche scopasse da dio. Per quello che è riuscito a fare basterebbe una sigaretta, basterebbe persino una cicca. 

Ride e spalanca i vetri. Lo sguardo va a frugare tra gli alberi stiracchiati del giardino dall’altra parte della strada. Un quadrato di verde stentato dove fioriscono merde di cane e siringhe. Più in là, verso il fiume, le ciminiere di una fabbrica sputano bave di fumo verso il cielo grigio. 


Fortuna che è domenica. Marge esce sempre la domenica pomeriggio e non rientra che a notte fonda, a volte appena in tempo per fare una doccia, lasciarsi cadere nella divisa e la sveglia già suona le sei. Prende al volo la metropolitana, un bicchiere di caffè extra large in una mano, la borsa del pranzo nell’altra, ed è alla cassa del minimarket, pronta a iniziare il lavoro. 

Un tempo Marge usciva anche al sabato sera. Adesso è escluso, in giro si trovano solo pivelli che manco hanno la barba e si credono dei John Travolta e ti strapazzano a destra e a manca al ritmo delle loro canzoni del cazzo. Musica new age. Cosa vorrà dire poi? Si fottano!


Tira i lembi della vestaglia che a mala pena riesce a chiudere. Quando le è sfuggita di mano la situazione? Non riesce a ricordare quanto sia passato, ma sicuramente non molto da che quella vestaglia, un kimono finto cinese di finta seta, le si chiudeva, eccome! Poteva passarla intorno alla vita due volte la cintura e fare il fiocco sul davanti.


Apre la porta di casa e si china a raccogliere il giornale e il latte. Un seno le sfugge dalla scollatura, è pesante e roseo e morbido al tatto. Con un gesto esperto lo rimette a posto e sbircia tra le asticelle della ringhiera se qualcuno si fosse divertito a sbafo. 

Non è mai stata una donna elegante Marge, ma vistosa certamente. Lo è anche quel tardo pomeriggio di domenica quando esce di casa con la fregola di buttarsi in mezzo alla pista, fasciata nel tubino rosso sangue che le pare incollato addosso e i riccioli ramati che spuntano dall’acconciatura di fiori e perline. Sì, sono ancora uno schianto, nonostante i chili di troppo e le primavere.


Quando è passato tutto sto tempo, poi? Si chiede, mentre la borsetta di seta scarlatta con dentro solo due trucchi e pochi spiccioli, (una donna come lei lo trova sempre uno che paga) le ondeggia sui fianchi morbidi. Il sedere tondo fa da contrappeso al davanzale ben fornito che mette a rischio la stoffa, tesa allo spasimo.


Si ferma sotto il portico di casa, il vetro opaco della finestra le dà conferma del suo corpo morbido e succoso come una pesca matura. Una sistemata alla gonna e Marge si sente pronta a scendere lentamente i gradini attenta a non conficcare i tacchi a spillo nelle fessure del vecchio legno, gonfio di sole e pioggia.


Il Blue Moon è a tre isolati, su Madison Avenue dove si aprono locali che fanno musica dal vivo, dove coppie spaesate ballano tra i tavolini di alluminio e formica verde.

Il locale è già affollato. I suoi occhi azzurri bistrati di nero soppesano i maschi schierati lungo il perimetro, al bar qualcuno offre dei drink alla concorrenza. Lucy sta già ballando, la lingua che si lavora l’orecchio di un omone brizzolato, gli occhi socchiusi, le mani aperte sulla schiena gessata del suo cavaliere.


C’è anche Mitch seduto in fondo alla sala, le spalle curve, protende il busto tarchiato sul tavolino e parla fitto fitto con una donna che avrà almeno il doppio dei suoi anni. 

Quando gli passa accanto le fa l’occhiolino, lei di rimando alza il dito medio. Deve essere gonfia di soldi quella, pensa, Mitch non è certo il tipo da perdere il suo tempo. 


Marge si avvicina al bancone del bar facendosi largo tra due tipi che spazzolano con lo sguardo il suo fondoschiena. Hai visto Mark? Questa sera il semaforo è rosso. L’uomo che di nome fa Mark si volta verso di lei. 

Belloccio, sui quaranta, abito stiloso (almeno 800 dollari), cravatta regimental (non meno di 150), gemelli ai polsini della camicia di raso bianco, (d’oro? se sì, un migliaio di verdoni e almeno 150 per quello splendore immacolato).


Gemelli? Ecco che salta fuori l’oroscopo. Marge gli sorride. Di solito dopo il rosso scatta il verde, abbi fede tesoro! Ribatte lei ammiccando.

Cosa bevi signora in rosso?  Marge fa scivolare il tubino sulle cosce e cerca di raggiungere con i glutei sodi lo sgabello. Quello che hai preso tu, grazie.  


Mark, che di cognome fa Strauss, è immobiliarista, come l’amico di cui gli è sfuggito il nome, insieme hanno uno studio sulla sesta. Hai parenti nella musica? Chiede Marge all’improvviso. Lui abbozza e poi si scioglie in una risata. Non dirmi che sei anche spiritosa, perché potrei perdere la testa per te, angelo! 

Hai ragione sono poche le donne con il senso dell’umorismo. Conferma il compagno senza nome.

Mark sposta lo sgabello e le si avvicina, i loro fianchi si sfiorano, il braccio dell’uomo va a cingerle la vita e la mano percorre il fianco per fermarsi nel tepore dell’ascella. Hai un buon profumo, Chanel n°5? No, di solito io non metto neppure quello. Lui ride ancora, rovesciando il capo. Marge fa in tempo a vedere un tatuaggio che fa capolino dal colletto della camicia, proprio dietro l’orecchio destro. E quello cos’è? Chiede e allunga una mano a scostare una ciocca di capelli di un nero troppo nero anche per un ventenne. Vuoi vederlo bellezza? 

In macchina l’uomo accende la radio. “…proprio così commissario, un serpente tatuato dall’attaccatura dei capelli giù fino…” 

Sentiamo un po’ di musica, vuoi? La radio sibila, gracchia, spezzoni di parole, stralci di radiocronache poi finalmente il vecchio Frank che sussurra inconsapevole …strangers in the night, da da da da da…


Dove mi porti? Marge vede scivolare lungo il vetro oscurato del Suv le luci tremule dei lampioni di Central Park. Hanno aperto un nuovo hotel ne hai sentito parlare? Marge non ne sa nulla. Uno di quelli megagalattici a non so quante stelle? Lui sorride. Lo vedrai.

Marge è contenta, per una volta tanto non dovrà mettere a posto casa, né fare il bucato l’indomani mattina, lenzuola, asciugamani, federe e il resto. E poi niente puzza di fumo.

La hall è tutta riflessi neri e oro, colonne bianche, pavimenti a specchio. Aspettami qui. Mark si allontana. Lo vede dirigersi alla reception, vede il portiere porgergli una card. Marge odia quelle chiavi diaboliche che ci metti un secolo a capire da che parte si infilano e la luce verde che non si accende mai e la serratura che non scatta e ti senti cretina per non riuscire neppure ad aprire una fottutissima porta di un fottutissimo albergo. 

Però, quanto è grosso Mark! Si rende conto di non averlo ancora guardato con attenzione. L’incuriosisce il tatuaggio che ha intravisto. Di lì a poco avrò modo di vederlo per bene, e anche tutto il resto, ridacchia tra sé.


Lo schermo della tv copre mezza parete sul lato destro del bar. 

…. E ora sentiamo dalle parole dell’unica superstite del festino satanico il racconto…

Allora vieni? La voce alle sue spalle la fa sussultare. Cavoli, non ti ho sentito arrivare! Mark l’aiuta ad alzarsi, la poltrona è bassa e il vestito le impaccia i movimenti. Lui la solleva come fosse un fuscello, ha braccia forti e muscolose. In ascensore si baciano e le mani di lui palpano la curva sinuosa del fondoschiena. 


Le camere si aprono lungo un corridoio illuminato da una luce discreta. I loro passi affondano nella trama fitta e morbida della moquette rosso cupo, la stessa che prosegue nelle stanze. Quella dove la spinge Mark è piccola ma raffinata. Le ricorda la camera della casa di Barbie, con cui giocava mentre mamma si prendeva cura dei suoi zii, sempre diversi e sempre gentili con la piccola Marge. Peccato però nessuno di loro si fermava mai. Ci aveva messo un po’ a capire. Pochissimo a imparare.


Vado a rifarmi il trucco tesoro. E Mark le sorride. Fa con comodo bellezza, abbiamo tutto il tempo che vogliamo.

Quando esce dal bagno lui è voltato di spalle, rivolto verso la tv. Ha una schiena possente come quella di un giocatore di football. È nudo e, proprio dietro l’orecchio destro, ecco il tatuaggio, il corpo del serpente si snoda dalle spalle larghe dell’uomo, ne accarezza il dorso e si perde sul davanti tanto che Marge non riesce a vederne la fine. Sposta lo sguardo. No, la fine è proprio lì davanti a lei sullo schermo della tv che Mark ha acceso. 

...Abbiamo diffuso l’identikit del serial killer…

Un secondo e l’immagine sparisce inghiottita dal buio dello schermo. L’uomo si volta e le sorride. 

Che cazzo significa Mark?  

Puoi chiamarmi Snake, se vuoi, bellezza. 




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