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Immagine del redattoreRedazione TheMeltinPop

SalTo disTopia. Strani incontri al Salone del Libro di Torino



di Guido Del Monte


Sono ormai passati cinque anni da quel quindici di ottobre duemila e ventuno e ormai tutto è accaduto.

Fu la prima volta nella mia sconclusionata carriera di scrittore minore che venni invitato al Salone del libro di Torino. Era da poco uscito un mio romanzo per un piccolo editore ed ero lì a fare promozione. Si trattava di una storia d'amore tra due ragazzi che si conoscono al centro per l'impiego il giorno in cui vanno a chiedere la disoccupazione e da lì in avanti la loro felicità è legata alle elargizioni dell'INPS. Una storia triste tutto sommato, almeno per me che l'avevo scritta, ma che era stata giudicata brillante da più di un lettore, chissà perché.


Lo ricordo vividamente quel giorno al salone e soprattutto ricordo l'incontro con quello strano personaggio. Si presentò come un funzionario di Postindustria, come è stata rinominata giusto qualche mese fa la storica corporazione degli industriali italiani, ma allora quel nome non esisteva ancora, tranne che per lui. Sebastian Bianchi, disse di chiamarsi, ma poteva essere benissimo essere anche Rossi o John Smith, non ha importanza perché era un nome falso. Adesso, col senno di poi, so che mi attendeva all'ingresso dell'ex palazzetto del ghiaccio cui si accede dal prolungamento del sottopassaggio della stazione di Lingotto e che tutto quanto fu orchestrato fin dal mio arrivo. Avevo in tasca il biglietto di accredito in qualità di scrittore, prenotato on line la sera prima e che mi era costato solo cinque euro anziché dieci o sedici come era per i comuni visitatori, i consumatori di libri. All'ingresso fui perquisito da poliziotti e addetti alla sicurezza dal forte accento piemontese che mi fecero vuotare in un tombino quel che restava di una bottiglietta d'acqua che avevo nello zaino e che mi aveva accompagnato per i miei quattrocento chilometri di viaggio in treno. Forse temevano che avrei annaffiato i libri. Tutto teatro, a ben vedere. Qualcuno di loro doveva pur sapere che, una volta dentro, sarei stato il visitatore più sorvegliato di quel giorno e non certo per il parka verde e la pipa in bocca alla Brassens, che sparì in tasca quando indossai la mascherina chirurgica, obbligatoria già cinque anni fa, come adesso.


Poi fui dentro e rimasi sbigottito dalla maestosità del luogo che conteneva stand a perdita docchio, gabbiotti di vetro trasparente abitati da finti salottini che ospitavano intervistatori e intervistati con intorno fans armati di smart phone, sale e salette conferenze delimitate da pannelli in compensato, cartone, pvc. I grandi editori avevano allestito i propri spazi espositivi alla maniera di vere e proprie librerie monomarca, grandi più di quanto siano grandi le librerie di una media città di provincia. Tra la folla, ricordo che mi colpirono le molte divise di ufficiali delle forze armate e lì per lì pensai che anche costoro avessero scritto un libro e che fossero al salone, come me, per presentarlo. Che pensiero sciocco. Vedevo ogni tanto drappelli di persone seguire lo zigzagare di un tale o una tale cercando di bloccarlo per fare selfie. Erano gli scrittori, o i blogger o i famosi a vario titolo e a dire il vero, su dieci, io ne riconobbi due o tre. Già allora ero fuori dai giri giusti.


-Anche lei si è perso?

Risposi senza distogliere lo sguardo dal'lorizzonte fieristico: già, sono proprio smarrito.

Era, lui, un quarantenne anonimo che indossava un giubbotto di nappa marrone scura sopra un maglioncino bordò. Aveva occhiali da vista dalla montatura rettangolare, capelli arruffati e un'aria innocua da ricercatore universitario o da informatico. Parlava un italiano che non suggeriva una chiara provenienza regionale.

-Deve andare in un posto particolare? chiese.

-Padiglione 2, stand H52.

-Allora mi sa che dovrà chiedere alle informazioni. A me hanno detto che se si esce nello spazio ristoro, poi si può rientrare in un'altra area dove sono i padiglioni, ma di più non so. Io sto cercando un amico che presenta un libro in una sala chissà dove diavolo è.

-Ma non si è già informato? chiesi.

-Le dovessi dire che ho capito


Eravamo restati in silenzio ad ammirare il grandioso involucro nato nellarea industriale automobilistica italiana, sede olimpica nel 2006 e nuovamente ridestinato alla cultura editoriale e ad altre importanti fiere.

-Mi scusi, aveva aggiunto lui: non mi sono presentato. Ho visto in lei un compagno di smarrimento e ho attaccato discorso a vanvera. Mi chiamo Sebastian Bianchi.

-Guido Del Monte, piacere.

-Da quello che ho capito, lei sta cercando uno stand preciso.

-Esatto, mi aspettano per il firma copie del mio libro.

-Ah, uno scrittore dunque del resto non è difficile incontrarne qui dentro.

-Direi di no, avevo confermato sorridendo e poi avevo chiesto: lei di che si occupa?

-Sono un semplice funzionario di Postindustria, la corporazione degli industriali.

-Ma non si chiama...

-Non più, aveva prontamente ribattuto lui interrompendomi e gli era scappata una risatina inquietante: vedrà, vedrà.


Ero restato sulle mie. In fondo non mi interessava un fico secco come si chiamasse il suo datore di lavoro. Era stato solo per fare cortese conversazione.

-È venuto in treno? aveva chiesto lui.

-Sì.

-Allora avrà notato i binari morti che, dalla stazione di Lingotto, deviano verso questo posto.

-Vero. In fondo qua un tempo fabbricavano automobili e i treni venivano a caricarle per portarle ovunque, avevo commentato.

-Proprio così, aveva confermato Sebastian Bianchi replicando la risatina di prima.

Cominciava a innervosirmi quella risatina.

-Pensi, aveva ripreso il mio curioso compagno di smarrimento, che non ci vorrebbe niente a riattivare quei binari.

-A quale scopo?

-Ci arriviamo, pazienti un poco. Cosa altro ha notato dalla stazione a qui?

-Non saprei, avevo risposto: siamo nel bel mezzo di un quartiere industriale. Non cè un riparo dalla pioggia o dal sole. Spazi immensi circondati da una cornice di casermoni di ex operai. Visto da fuori, intendo. Poi uno entra qua dentro e

trova la più grande concentrazione di libri dEuropa. Guardi tutti questi stand di editori che abbiamo davanti agli occhi. Cosa nota?

Li osservai con più attenzione. I nomi più importanti occupavano lo spazio di un megastore di città eppure si perdevano nella vastità del luogo. Glielo dissi.

-Esatto, aveva esclamato allora lui: ma continui la prego. Vede le pareti degli stand? Cosa manca eh? Cosa?

-Il tetto?

-Bravo. E perché, eh?

-Perché sono già sotto un tetto, quello della ex fabbrica.

Di nuovo quella risatina.

-Adesso faccia solo questa considerazione quantitativa, aveva riattaccato lui: se lei sommasse i metri quadrati di tutte le redazioni di tutte le case editrici italiane, badi bene, non le librerie, le redazioni, pensa che potrebbero essere contenute in questo spazio?

Mi ero guardato di nuovo intorno: sì, ci starebbero, credo.

-Dopo visiterà i padiglioni e si domandi se ci può essere lo spazio adeguato per stampare tutti i libri che escono in Italia.


Ne stavo avendo abbastanza: mi fido. Sono certo che quantitativamente cè abbastanza spazio per quello che dice, ma dove vuole andare a parare?

-Ma come, non ha capito? La più grande fabbrica di libri del mondo, libri di carta stampata beninteso perché la lettura digitale non la sostituirà mai e sa perché?

-No.

-Perché sarebbe ecologica!

E stavolta era scoppiato in una sonora risata alla cinica battuta che lui stesso aveva pronunciato. Ricompostosi aveva concluso il disegno: tutto esce di qui come un tempo le automobili, viene stoccato sui treni e va.

-Le piacerebbe? avevo chiesto io serio.

-Ci pensi un attimo, è pur sempre meglio che i treni portino via libri da ununica fabbrica verso bravi consumatori piuttosto che convoglino brava gente in un unico campo di concentramento.


Non mi aveva dato il tempo di rispondere perché subito aveva salutato augurandomi di avere successo col mio libro e si era dileguato tra la folla. Adesso so che ero stato una pedina in mano sua per tutto il tempo che avevamo conversato e per quello che era venuto nei giorni seguenti allorché, profondamente colpito e indignato da quel tizio, mi ero messo a scrivere un resoconto della chiacchierata e lo avevo postato sui social. Non solo, avevo mandato l'articolo anche a The Meltin Pop, un portale molto seguito di arte varia dove era stato pubblicato col titolo Strani incontri al Salone del Libro di Torino. Avevo pure insistito sul fantasioso nome che mi era stato propinato, Postindustria, che aveva alimentato la mia fantasia costringendomi a rimuginare su quella parola inesistente al tempo e che non sembrava casuale. E così avevo sperato che facessero anche i lettori dei miei pezzi. Ma non era accaduto niente, pochissimi Mi piace, poche visualizzazioni, reazioni nulle.


Adesso che tutto è accaduto, so che cinque anni prima ero stato un test vivente per far capire a chi di dovere che tipo di reazione ci poteva essere a portare avanti un piano egemonico così delirante. Tutto a posto per loro.

Ho ancora indosso il parka verde e in bocca la pipa alla Brassens e oggi è il quindici ottobre duemilaventisei. Tutti gli editori italiani sono diventati loro malgrado torinesi e tutti i libri italiani escono dalla immensa ex fabbrica di automobili, ex palazzetto e cittadella olimpica, ex salone del libro. Dalla banchina del binario due della stazione di Torino Lingotto, dove sono appena sceso dal treno, vedo tutto davanti a me nella prateria neopostindustriale (lo sa il diavolo come chiamarla sta cosa) da cui partono vagoni merci per ogni centro commerciale italiano e corrieri per ogni casa. So che otterrò solo guai, ma mi incammino lo stesso verso quello che sembra il centro direzionale del mostro. Sento il ronzio di telecamere e droni che già mi hanno agganciato. Vado avanti. Più aumentano i ronzii, più si rarefà la presenza umana. Giungo infine davanti a una grande porta a specchi con la scritta verde Postindustria. Occhi elettronici mi spiano da innumerevoli posizioni di tiro.

Urlo: Sebastian Bianchi, vieni fuori!

Solo il vento mi risponde. Urlo di nuovo: lo so che mi senti, vieni fuori!


Ed ecco che appare. La porta a specchi si trasforma in video e il video contiene limmagine a grandezza naturale di Sebastian Bianchi: Guido Del Monte, che piacere rivederla dopo tanto tempo.

-Devo parlare con una porta?

-Temo di non poterla far entrare.

-Cosa non dovrei vedere?

-Ma niente, caro Guido. L'accontento subito, guardi pure che succede qua dentro.

Al posto della sua faccia da innocuo ricercatore universitario scorrono immagini di redazioni operose piene di gente raggruppata in stand colorati, ognuno col logo e il nome della casa editrice. L'immagine zuma incredibilmente sul monitor di una redattrice fino a farmi leggere una frase del romanzo che sta impaginando. Già, penso, gli stand non hanno il tetto. Poi riappare Sebastian Bianchi: soddisfatto? Le è tutto chiaro? So cosa sta pensando, e i lettori? Come può andar bene ai lettori tutto ciò? e scoppia nella sua isterica risata: se la bevevano già prima caro Guido, si ricorda cinque anni fa quando ci siamo conosciuti che marea umana veniva qua dentro a comprare libri? Quando cerano solo le pubblicità, gli adword, i social, i giornalisti prezzolati? Adesso di nuovo cè soltanto che è tutto più rasserenante ed efficiente. Mi stia bene Guido e, la prego, non faccia il bambino, mandi un suo testo che le troviamo una sistemazione presso un grande editore. Magari racconti proprio la storia del nostro incontro, come ha già fatto. Stavolta sarà un successo se ci pensiamo noi.


-Li leggi tutti per primo i manoscritti che arrivano?

La risatina: l'algoritmo, Guido, ci pensa l'algoritmo. È uno dei service che abbiamo offerto a tutti i nostri ospiti. Non hanno più bisogno di correttori di bozze, curatori, agenti letterari. Basta impostare l'algoritmo amico mio, questa è Postindustria! Arrivederci caro.

Si spegne il video e la porta a specchi mi mostra a me stesso. Meglio fuori che dentro, penso e mi carico la pipa. Tre droni si abbassano simultaneamente allaltezza della mia testa. Mi ricordo quando da bambino avevo fifa dei calabroni. Questi insetti computerizzati per la sorveglianza sono peggio dei calabroni, più grossi, armati di scariche elettriche e governati dall'algoritmo. Giro i tacchi e me ne vado. Cubi imballati di volumi stanno per essere caricati su vagoni merci. Mi avvicino e curioso tra i colli per leggere i titoli sotto gli strati di plastica trasparente: Gomorra Nuova Edizione, Orgoglio e Pregiudizio Nuova Edizione, Storie di Ordinaria Follia Nuova Edizione, 1984 Nuova Edizione.



 



Guido Del Monte, 1969, toscano di Viareggio. Ha esordito con la drammaturgia nel 1994, una sua pièce dedicata a Bukowski è apparsa sulla rivista Baubo. Nel 2016 è ideatore del progetto editoriale maison Nouvelle Vague ed escono: Le Protagoniste,Il Souvenir(2017) – dedicati alla memoria di Eric Rohmer – Al Livello del Mare (2018), Il Giorno della Sciamana (2018, sotto pseudonimo) e viene ripubblicato Costa West, romanzo d’esordio del 2000 (Baroni editore) già ripreso da Cinquemarzo nel 2012. Nel 2019 esce per ETS di Pisa, L’Abat-jour, interno lucchese (tra i dieci finalisti del premio Un Libro per il Cinema – Il Cartoceto ed. 2019). Ottobre Fest (Robin) - 2021) è il suo ultimo romanzo









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