di Emanuele Pettener
Professore di lingua e letteratura italiana alla Florida Atlantic University
“Ero vivo! Ma non potevo saperlo”. La cosa che più stupisce di questo libro è che non è cupo. Addirittura, a tratti, attraversato da leggerezza e venato d’umorismo. Eppure la storia di Massimiliano Calloni è terribile: dal 2012 convive con la SLA – che diventa quasi un’entità fisica, una “perfida amica”. Così Massimiliano inizia raccontandoci com’era la sua vita prima, quand’era vivo ma non lo sapeva, quand’era un giovane forte che, pur avendo passato un’infanzia “all’insegna dell’insicurezza interiore,” riusciva “a far fronte alle difficoltà sfoderando un impegno fuori dal comune”. Rugbista, poi calciatore, la vita lo sfida subito con un tumore, da cui Massimiliano guarisce ma che forse comincia a formargli quella tempra per affrontare la sfida tanto più dura che l’aspetta. Anche qui, tuttavia, ad alleggerire l’atmosfera d’ospedale, la prima di una luminosa galleria di figure femminili: Valentina.
Le donne attraversano l’intero racconto, presenze dolci, calde, che Massimiliano ama ritrarre nei dettagli. Fra queste spicca Margherita, “la donna che mi ha cambiato, rendendomi un uomo migliore ... Lei che ha saputo toccare gli accordi giusti di un pianoforte che sembrava irrimediabilmente stonato”. È una storia serena, la loro, spensierata – una bella foto li ritrae sorridenti a Minorca nell’estate del 2008 – che finisce quasi naturalmente quando Margherita si trasferisce in Sicilia: “Oggi lei fa il magistrato a Catania e con cadenza quasi mensile viene a Mogliano da sua madre Giusy e riesce sempre a dedicarmi parte del suo prezioso tempo per aiutarmi, o per farmi compagnia.
Io invece ho la SLA”.
Sentite che colpo di mannaia quest’ultima frase? Le coordinate che descrivono la vita di Margherita che va avanti e le sue visite alla madre e la sua personalità generosa – poi Massimiliano mette un punto che sembra una scure che si alza in cielo, va a capo per dar tempo alla scure di scendere e zac, la frase lapidaria: “Io invece ho la Sla”. Punto. Fine.
La SLA si manifesta attraverso piccoli segnali inquietanti, fino alla diagnosi crudele. Massimiliano ci spiega cos’è la SLA e fa notare forse il suo aspetto più drammatico: “pur bloccando progressivamente tutti i muscoli, non toglie la capacità di pensare e la volontà di rapportarsi agli altri. La mente resta vigile ma prigioniera in un corpo che diventa via via immobile”. Da qui Massimiliano inizia a narrare lo sviluppo di una malattia che ti umilia “anche sul piano morale”: Massimiliano deve cessare l’attività della ditta messa in piedi con tanti sacrifici, vende macchina, furgone, assiste impotente al crollo di quanto costruito economicamente, “anni di fatica, sudore ed impegno bruciati, dispersi al vento in un attimo”. Eppure Massimiliano tira fuori una forza davvero leonina nell’affrontare quella che chiama SLAvina (poiché si lascia dietro “solo cumuli di macerie ...ti travolge soffocandoti lentamente ... ti disperde isolandoti dagli altri”). Massimiliano semplicemente si rifiuta di accettare, osservando che del resto la malattia è talmente lenta e molteplice nelle sue evoluzioni che “appena ne accetti una, ce n’è pronta subito un altra di nuova”: diventa un esploratore del WEB, studia, cerca nuove cure sperimentali, le prova tutte, diete e metodologie e protocolli – compresi quelli che si rende conto siano “pura follia”.
E Massimiliano ci accompagna in questa giungla di esperimenti, non lesinando autoironia (“Fu così che entrai nel mistico mondo dei vegetariani”), del resto non gli sfugge che ciò di cui ha bisogno è il conforto, pur momentaneo e sterile, della speranza: “Ho fatto quello che ho fatto perché volevo mantenermi vivo internamente”. Per questo dice di non rimpiangere tutti i tentativi fatti, nemmeno i clisteri alla camomilla o al caffè (!) perché “Ogni pratica... era per me come andare in vacanza dall’incubo dell’incurabilità. È la continua ricerca di quello stato mentale che mi ha mantenuto lucido e combattivo”.
Questo libro è anche un viaggio profondo nella psiche di un giovane uomo alle prese con un destino terribile – che tuttavia, semplicemente, rinuncia ad arrendersi. Vuole essere “normale” – infatti il capitolo 9 s’intitola “Sprazzi di vita semi-normale (fine 2012-2013)” ed è stupefacente, leggendo come la malattia progressivamente gli rubi tutto, vedere il modo in cui Massimiliano, per reazione, cerchi a sua volta di rubare ogni possibile traccia di piacere, ogni residua gioia di vita. E le trova: nello sport che riesce ancora a fare, nella compagnia affettuosa di giovani amiche, nel sushi, persino andando (fra difficoltà inimmaginabili) a due concerti dei Depeche Mode, riuscendo, alla fine di questo capitolo, a scrivere: “Quello fu un anno bellissimo”.
La continua ricerca di una nuova speranza, di una nuova illusione, è febbrile: e per quanto speranze e illusioni si rivelino fallaci, Massimiliano non si dà per vinto. Ad ogni peggioramento, cerca di adattarsi e “aggirare l’ostacolo”. E nella battaglia disperata riesce a trovare momenti di pace: fra cui, la scoperta della scrittura. Quando parla di scrittura, Massimiliano addirittura usa il termine felicità : “Forse la felicità che sprigiono quando scrivo mi permetterà di passare meglio questi ultimi anni,” ed è toccante che un giovane uomo nella stessa frase in cui dichiara la consapevolezza che questi sono i suoi ultimi anni – parli di felicità. Forse è vero, non capiremo comunque, non possiamo capire, eppure per Massimilano la scrittura diventa il suo modo per farci capire, per comunicare (“Ma oggi io sono felice, sì perché finalmente posso condividere questa realtà con voi lettori”) malgrado scrivere sia fisicamente un’impresa improba, titanica, su cui tuttavia riesce a scherzare: “Non potete immaginare che battaglie vivo quando scrivo con i piedi... e non è un modo di dire!!!!”
L’umorismo è uno dei tratti più evidenti della personalità di Massimiliano, anche come scrittore: umorismo che non rende certo meno drammatico il suo racconto, ma permette a lettore e autore di sorridere, come nella surreale descrizione del soggiorno riabilitativo al San Camillo di Treviso o dei vicini di casa eroticamente rumorosi, ma anche di attenuare la rabbia per le persone che cercano di imporgli una fede religiosa, o l’irritazione per chi gli si rivolge come fosse un bambino.
Nel settembre 2016, ormai Massimiliano è “bloccato su una sedia senza poter muovere gli arti” e ogni frase “è un parto”, poiché non è più in grado di parlare e respirare assieme, e “le persone che non vi conoscono, nove volte su dieci, vi interrompono e dovete ricominciare da capo, respirare, scandire, ripetere e alla fine non venite nemmeno compresi perché il tempo è scaduto”. A questo, da un giorno all’altro, si aggiungono altri, nuovi sintomi. Massimiliano chiede al lettore d’immaginarli: “un cuore che pulsa e martella ininterrottamente nel vostro cranio ... disturbi visivi ... e un pizzico di nausea”. La fotofobia produce mal di testa, debolezza fisica, insonnia, e i medici non capiscono se siano sintomi connessi alla SLA oppure no, fatto sta che “da quei giorni in poi la mia mente non è più riuscita a trovare un istante di tregua, non riesce più a rilassarsi, mi sento bloccato dentro una gabbia composta da una sorta di iperattività cerebrale”. Ogni cura è inutile, Massimiliano cessa addirittura di parlarne coi medici, si isola, perché non riesce più a provare il piacere della compagnia, e il travaglio è talmente insostenibile da farlo esclamare: “incredibile come la SLA sia passata in secondo piano!”
Eppure questo Massimiliano è una tigre. Malgrado l’inferno nella sua testa, trova ancora spazio per la luce. Siamo nel novembre 2016 e ha una nuova aiutante: “Selene, che in greco vuol dire Luna, portò finalmente il Sole!”. Selene, bellissima moglie dell’amico Loris, ha tre figli con cui Massimiliano fa amicizia. Nel weekend, Selene si fa sostituire dall’amica Asia, che anch’essa ha una figlia, Morgana di sette anni, e il Nostro stringe amicizia con entrambe. Selene e Asia diventano presenze importanti: malgrado le reticenze di Massimiliano, lo riconducono all’aria aperta e lo convincono a una vacanza a Jesolo, loro due più Loris e i quattro bambini. Il capitolo di questa vacanza è uno dei più sereni, malgrado la malinconia di un incrocio con un vecchio amico che forse finge di non riconoscerlo, e contiene uno splendido momento poetico: “Di notte dormivo con Asia e Morgana e la situazione, nonostante la vivacità di quest’ultima, che scalciava e si muoveva nel letto immersa nel suo sonno di bambina, regalava anche qualche attimo in cui la bimba cercava sicurezza e mi abbracciava: questa forse è una delle emozioni più belle che abbia provato negli ultimi cinque anni”.
Il capitolo 22, “Coperte assassine (Gennaio 2019)”, inizia con la sveglia che squilla alle sette di mattina, l’impeto di gettarla contro un muro, il doversi alzare di malavoglia, c’è un appuntamento di lavoro e Massimiliano è in ritardo, bisogna vestirsi in fretta, correr giù per le scale – poi un pensiero: “ma come? Io sono malato, non posso muovermi!” Fine del sogno. I sogni di Massimiliano son sempre dinamici, e che “liberazione incredibile”, che “sensazione bellissima” poter di nuovo muovere gli arti! “Nel sonno torna scontata anche per me quella fastidiosa normalità che in realtà è una benedizione che quasi nessuno sa apprezzare”. Ma il sonno può essere anche pericoloso: in una mattina di gennaio, il fratello Davide, prima di uscire per andare a lavorare, viene a dargli da bere e fargli cambiare posizione a letto, permettendogli di dormire per un’altra oretta. (il cambio di posizione, dopo una notte intera sul fianco, produce un sollievo fisico e mentale, spiega Massimiliano, inimmaginabile). Solo che al risveglio, a causa di una serie di minimi movimenti, una coperta gli si è infilata nelle narici e sta per soffocarlo: mancano due ore all’arrivo di Selene, e Massimiliano, assalito dall’ansia, si sente “avvolto da un caldo abbraccio di coperte assassine”: l’adrenalina e il panico lo sconvolgono ma l’istinto di sopravvivenza lo fa lottare e “con un po’ di fortuna e insistenza”, riesce a “uscire dalla morsa”. Ma l’episodio, dice Massimilano, lo cambia profondamente. Fino a quel momento l’idea del suicidio l’aveva confortato: il pensiero che nel momento in cui si fosse “stancato di lottare” avrebbe potuto scegliere di morire era rasserenante: “Innumerevoli sono le notti in cui, per rilassarmi e riuscire a prendere sonno, ho pensato ai modi più efficaci e meno dolorosi per farlo”. Ora invece quell’episodio delle coperte gli ha fatto capire che erano “chiacchiere mentali”, gli ha tolto l’ultima via di fuga: capisce che “ il benedetto istinto di sopravvivenza e la sua maledetta potenza”, uniti alla sua immobilità, gli rendono impossibile anche sognare di chiuderla qui. A Massimiliano non resta che “deglutire quest’ennesima beffa e continuare a sopravvivere alla giornata rimandando a domani la soluzione dei miei problemi irrisolvibili”.
Il libro di Massimiliano si chiude con una domanda e un urlo. La domanda: “Ora posso andarmene?
Lo domando a voi sconosciuti lettori che avete appreso la mia storia solo attraverso questo testo, il mio ultimo sacrificio per me stesso e per tutti coloro che si trovano nella mia condizione”. Massimiliano si sente “un guscio vuoto”, si sente “stanco di vedere gli altri vivere”. Dice di non provare ormai emozioni, di averle “ingessate in qualche parte della mia anima per difendermi dal dolore”, e ancora chiede: “Dopo tutto quello che ho sofferto in questi 9 anni di continue sconfitte e umiliazioni, con l’idea di ciò che ancora dovrò passare, ora posso andarmene?” Poi, isolato fra due spazi bianchi, l’urlo: “Per favore liberatemi da queste catene, voglio dormire, sognare per sempre, lasciatemi andare, lasciate che io vada verso la libertà! Ovunque andrò, il paradiso sarà!”
Eppure, eppure: vado alla pagina dei ringraziamenti, leggo una riga alla voce contatti: “sono disponibile a rispondere alle vostre mail o a ricevere la vostra amicizia su Facebook”. Poi, infilato fra le pagine, trovo un foglietto volante in cui Massimiliano si rivolge al lettore: lo ringrazia per avergli dato modo di esprimergli, auspica di potergli “regalare emozioni e magari anche qualche sorriso” e con pudore e cortesia scrive: “Vorrei chiederti un favore: dopo che avrai letto il libro mi farebbe estremamente piacere che scrivessi un commento o una piccola recensione sul sito in cui il libro è stato messo in vendita: ho bisogno anche di te per continuare a inseguire il mio sogno”. C’è ancora una scintilla che sale, dall’anima di Massimiliano, il desiderio di calore, di esserci, di condividere, di rendersi utile agli altri, addirittura di sognare.
Il coraggio, in un essere umano, mi commuove sempre. Il coraggio trascende i limiti umani – siamo animali paurosi, naturalmente e legittimamente: in noi c’è la consapevolezza della morte, della nostra precarietà, che tutto è cosi fragile. Come si può non aver paura? Per questo il coraggio è “disumano”: trasforma l’uomo in una sorta di semidio; e la commozione viene quindi dall’assistere a un miracolo, il miracolo di chi trascende i propri limiti umani: la rivelazione del coraggio in un essere umano è poesia, è ebbrezza, è un momento estatico che ti fa credere che non siamo poi così pessimi. Il dolore di Massimiliano è suo e di chi lo ama; qualcosa di così intimo e impensabile che mi limito ad osservare e rispettare; ha ragione, “Non capirete comunque”, come si può capire? Il dolore è egoista, ognuno ha il suo, sente il suo: le mie piccole preoccupazioni non spariscono dopo aver letto questo libro, né i miei dolori mi appaiono risibili perché relativamente insignificanti rispetto a quello sovrumano che deve provar Massimiliano: il dolore non è relativo. Ma il coraggio è diverso, il coraggio di Massimiliano è una meravigliosa, per quanto terribile, lezione poetica. Ci parla della poesia dell’essere umano. Ci fa capire quanto l’essere umano possa esser grande. Da questo punto di vista non sono sicuro, come lo è Massimiliano nel suo titolo, che una volta chiuso questo libro, non capiremo.
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