Una luce poco fa (Piccole occasioni di gioia quotidiana)
di Elena Nieddu
Non me ne vogliano i campioni di aperitivi, nemmeno gli chef stellati, neanche gli organizzatori di tornei internazionali o di grandiose opere all’aperto, ma la mia serata ideale è un’altra. Mi riferisco a un lunedì di fine giugno, forse uguale a tanti. Il sole ha picchiato tutto il giorno e adesso, sono quasi le 21, una brezza leggera increspa la stoffa del vestito. L’aria è carica di oleandri: bianchi, rosa tenue, fucsia, cremisi, o un delicato punto di arancione. Il loro profumo sancisce una certa fase dell’estate, quando la Stagione – così la chiamava mia madre, in onore alle sue lontane origini campane – emerge con l’essenza di un caldo dolce e sottilmente velenoso.
Nella borsa di tela, porto alcuni spartiti musicali, tra cui il Requiem di Wolfgang Amadeus Mozart. Per me, come forse per molte persone, quest’opera ha una storia unica.
La sentii nominare per la prima volta guardando “Amadeus”, il film di Miloš Forman che pure dà della realtà – e, soprattutto, del rapporto fra Mozart e Salieri - una versione un po’ troppo fantasiosa. Fu invece a Vienna, durante un viaggio in solitaria, che sentii per la prima volta un’esecuzione dal vivo, nella meraviglia barocca della Karlskirche, la chiesa di San Carlo Borromeo. Il giorno prima, avevo visitato la basilica in tutti i suoi meandri, compresa la piccola cupola in alto, molto in alto, con l’effige leggera e dorata di una colomba bianca. Ma, senza la musica – o, meglio, senza la musica di Mozart – la ricchissima chiesa era solo un bello scrigno vuoto. Solo con le voci dell’Heinrich Franz Biber Chorus, accompagnato dall’Orchestra 1756, la Karlskirche prese vita: illuminate da luci calde, le sculture in gesso dell’altare maggiore sembrarono muoversi lentamente, mentre i suoni accompagnavano nel più basso degli inferi, sulle ali di una preghiera straziante, appena sussurrata: “Voca me cum benedictis”.
Sono passati gli anni, neanche troppi, e ora mi ritrovo a tentare di cantare le stesse note, durante una delle ultime prove del coro dell’anno (poco affollate, distanziate, aerate e – sacrificio dei sacrifici, soprattutto per chi canta – “mascherinate”). E mentre, in una sera d’estate, cammino per raggiungere i compagni e le compagne, mi viene spontaneo sorridere: se un’indovina mi avesse predetto questo momento allora, mentre ero seduta sulle panche della Karlskirche a Vienna, le avrei risposto con un sorrisetto scettico e beffardo.
La pratica corale e lo studio individuale del canto, ma anche le sperimentazioni anarchiche al pianoforte, mi stanno facendo capire la differenza tra fare e ascoltare musica ed è, in una parola, l’intensità. Nel caso del Requiem, è come entrare con microscopio potentissimo nelle fibre di un tessuto e scoprire come esse siano tenute insieme da una forza misteriosa.
Talmente potente, da fare anche paura.
Per questo, quando incontro la musica di Mozart, mi torna in mente l’oleandro e il suo vivere appieno l’estate; con un profumo dolce, sensuale e, in fondo, disperato.
Elena Nieddu
Nata a Genova nel 1974, laureata in Scienze della Comunicazione all’Università degli Studi di Torino, ha conseguito il praticantato giornalistico all’Ifg “Carlo De Martino” di Milano. Nel 2019 è uscito il suo primo libro, “Senza pelle”, edito da Ensemble. Suoi racconti sono stati pubblicati da “Nuovi argomenti”, “La città”, “Letterate Magazine”. Per il quotidiano “Il Secolo XIX” si occupa di cultura, spettacoli e società.
Per chi avesse voglia di altre "luci":
Comments