7 aprile 2021
Oggi themeltinpop.com incontra Marianna Pederzolli. A 19 anni eletta consigliere comunale per la sua città, Genova, un'esperienza vissuta, nonostante la giovane età, con maturità ed orgoglio. Facendo politica si è resa conto di quanto spesso la politica sia distante dalla realtà sociale, del cui benessere e della cui stabilità dovrebbe occuparsi. Per questo, e per molte altre ragioni che ci ha spiegato in questa intervista, è coinvolta in molte attività a sostegno delle fasce deboli della società, ma soprattutto dedite all'ascolto dell'altro, nei suoi reali bisogni, esigenze, delusioni. E soprattutto con lo sguardo volto a disegnare un futuro vivibile per la sua città e per chi la vive.
Hai iniziato la tua carriera politica a 19 anni, quando sei stata eletta nella città più vecchia d'Europa e hai cercato di dare voce a una generazione che non ne ha (mi verrebbe da dire che a Genova è già un risultato). Ci racconti che esperienza è stata?
Ancora oggi fatico a trovare le parole giuste per descrivere 5 anni molto intensi.
Sicuramente non semplice: ho dovuto dimostrare agli altri, e soprattutto a me stessa, che la mia giovane età era un arricchimento rispetto a una pluralità di punti di vista sulla città e il suo futuro, e non una mancanza. Ogni volta che ho portato avanti delle posizioni non allineate mi si è provato a persuadere in quanto “troppo giovane per capire”, sicuramente “manipolata dal pensiero di altri -neanche a dirlo- uomini-”. Mi sono stati fatti complimenti non richiesti rispetto al mio aspetto fisico per sminuirmi, ho raccolto risolini e insulti quando ho trattato in aula argomenti scomodi, come la difesa della legge sull’aborto, il tema della prostituzione, del registro delle unioni civili e delle pari opportunità, della legalizzazione delle droghe leggere, del diritto al divertimento e alla vita notturna.
Sicuramente sono stati 5 anni di grande passione: proprio perché ho dovuto compensare la mancanza di esperienza su tanti ambiti, sono stati 5 anni di ascolto e scoperta continua di una città per cui ho sviluppato un amore viscerale: ho girato con il mio cinquantino da Albaro a Voltri, passando per le valli, tutti i 71 quartiere di Genova, ascoltando e imparando da comitati, associazioni, singoli cittadini che mi hanno mostrato i loro angoli di Genova. Il consiglio comunale è un osservatorio privilegiato per conoscere e imparare le grandi trasformazioni e contraddizioni del nostro tempo che impattano sulla storia della nostra città, un corso accelerato di sociologia, economia e urbanistica.
Tuttavia, è un’esperienza che ancora oggi mi viene chiesto di togliere dai curriculum, in un momento storico in cui dire di aver fatto politica equivale quasi a dire di avere avuto una brutta malattia venerea. Ma d’altronde, come dice la premio Nobel Wislawa Szymborka in una sua poesia su come compilare un perfetto cv: “I viaggi solo se all’estero./ L’appartenenza a un che, ma senza perché./ Onorificenze senza motivazione. Scrivi come se non parlassi mai con te stesso / e ti evitassi.”
Dal mandato in Comune mi porto a casa alcune consapevolezze con cui proseguo il mio impegno politico in ambito associativo: dietro ad ogni processo ci sono sempre delle scelte e la politica non è mai neutra o sola tecnica, per quanto ce lo vogliano far credere.
Se non si ha un gruppo fuori di riferimento e una forte connessione con il mondo fuori capace di pungolarti da una parte e fare pressione con te dall’altra, si viene risucchiati da mediocri dinamiche di potere e personalismi e le istituzioni diventano luoghi sempre più svuotati di senso.
La città è ricca di saperi territoriali di cui sono portatori singoli e associazioni completamente sconnessi dai processi decisionali, e che faticano ad uscire da una dimensione particolaristica.
Se le idee e i valori con cui voler orientare il mondo scarseggiano - come oggi nelle discussioni interne alle varie forze politiche - quello che rimane al consiglio comunale è una triste lotta a colpi di ordini del giorno per il mantenimento di piccoli interessi campanilisti al fine di farsi rieleggere al giro successivo e la politica perde ogni afflato e capacità di coinvolgimento.
La politica genovese è ancora un luogo drammaticamente maschile, e specificatamente di uomini bianchi eterosessuali over 50.
Sei molto impegnata nella nostra città: sei attivista in Genova che osa, operatrice sociale presso Afet Aquilone e San Benedetto sul tema della prostituzione.
Di prostituzione si parla poco e male: c'é chi ridicolizza le ragazze in strada e fa il moralista per poi chissà come finirci a letto una tantum, c'é chi si permette di dire che la maggioranza lo fa: "per libera scelta" e pensa solo a come spostarle dal salotto buono della cittá, chi le vuole salvare a colpi di crocefisso. Il lavoro che svolgo da 4 anni come operatrice dell’unità di strada mi appassiona molto e mi ha permesso di conoscere chi, pur abitando la nostra città, non ha mai voce, provando a offrire delle opportunità a tante donne che nella vita non ne hanno avute. Il nostro ruolo è quello di offrire preservativi, tè caldo e soprattutto di parlare chiedendo loro come stanno, offrendo servizi sanitari e informandole sui progetti di emersione dallo sfruttamento sessuale. Questo lavoro mi arricchisce ogni giorno e mi permette di entrare in relazione con donne per cui nutro una profonda ammirazione per la tenacia con cui riescono a restare in piedi, nonostante un sistema criminale, familiare e sociale che quasi sempre le sfrutta. Andiamo a fare la spesa in Via della Maddalena dalla rosticceria Vitale, a prenderci l’aperitivo da Jalapeno, e passiamo tutti i giorni davanti a Maria, prosperosa dominicana sulla soglia di un basso di Vico Boccanegra, ma cosa sappiamo della sua storia? E soprattutto, qual è il suo sguardo sulla città che crediamo di conoscere? Affermeremo di sapere tutto di Via Sampierdarena, che attraversiamo per andare agli eventi del centro civico o del Municipio, ma sappiamo che la stessa strada poche ore dopo, quando cala il sole e si accendono i lampioni, è il territorio di Ana, rumena di 20 anni, e di Maribel, la trans più bella di Genova? Conoscere queste donne è per me una grande ricchezza e privilegio.
Oltre all’unità di strada mi occupo poi della raccolta storie delle donne che denunciano la loro condizione di tratta e sfruttamento sessuale, e del loro ingresso negli alloggi protetti. Se sei povera e sei donna, la prostituzione rimane un destino segnato per molte giovani, le schiave del nostro tempo, sui cui corpi le criminalità organizzate fanno miliardi, rispondendo alla domanda di clienti genovesi di tutte le età ed estrazioni sociali. Contribuire a restituire loro la possibilità di scegliere, di liberarsi da condizioni di gravissimo sfruttamento e di determinare il loro futuro è una soddisfazione grande, non esente da un pesante coinvolgimento emotivo e accompagnato dalla consapevolezza di quanto la prima battaglia di contrasto alle diseguaglianze debba essere quella femminista.
Con il Ce.Sto ti occupi di giovani e movida nel centro storico. Come è la situazione?
Una "movida" senza sballo è possibile? Quali testimonianze hai raccolto?
Con GoodMorning Genova stiamo portando avanti, oramai da 6 mesi, un percorso di ascolto di tutti gli attori della vita notturna genovese per contribuire alla creazione di nuove proposte che tengano insieme il diritto al divertimento e alla cultura con il diritto al riposo. La mia idea è che la Movida sia un’enorme risorsa per Genova perché è cultura, opportunità, intrattenimento ed è anche economia. Personalmente credo che serva un approccio opposto a quello dei divieti e delle ordinanze restrittive ma anche a quello dell’assenza di regole. Ci vuole un Comune che sia presente, incentivi regoli e gestisca la notte così come avviene per le ore del giorno. In questi mesi di assenza di movida, a causa del coprifuoco, ci siamo concentrati soprattutto sul racconto di un centro storico deserto, molto più insicuro, e della raccolta della voce dei giovani, privati totalmente della dimensione di socialità e incontro, così vitale nella loro fase di sviluppo. I ragazzi ci hanno raccontato quanto manchi la possibilità di incontrarsi, e di come movida era prima di tutto per loro un’occasione di incontro. Forse oggi non danno fastidio agli abitanti, ma sono molto più soli e fragili ed esposti a comportamenti altamente a rischio. La movida senza sballo non credo possa esistere del tutto, e una componente di conflittualità e comportamenti al limite esisteranno sempre. Quello che però fa la differenza è l’impalcatura di proposte che come città siamo o meno di offrire ai giovani, oltre all’alcool a basso prezzo. Occorre però fare in modo che l’unico aggregante non sia l’alcool e promuovere festival, concerti, musica dal vivo nei locali, adibire degli spazi deputati a tutto ciò per la seconda parte della notte fuori dal centro storico e potenziare i servizi di trasporto pubblico per rendere la nostra città vivibile, accogliente e sicura a tutte le ore del giorno e della notte.
Perchè ancora così poche donne in politica nei ruoli di potere?
La politica è da sempre stato un ambito appannaggio dei soli uomini. È un lavoro fortemente sessuato, da cui sono state estromesse le donne in maniera sistematica con leggi e usanze fino a pochissimi anni fa. Sebbene oggi le donne possano votare e candidarsi, rimane un ambiente altamente respingente per le donne e lo vediamo dai numeri delle elette, dall’assenza di donne ai vertici dei partiti. Per fare in modo che ciò cambi bisogna comprendere che non basta far entrare le donne nei ruoli e nelle modalitá prima occupate dagli uomini. Bisogna cambiare le regole formali e informali, la cultura, il clima, i tempi e gli spazi della politica, da sempre costruite da uomini per gli uomini. Questo implica prima di tutto una profonda ristrutturazione del concetto di potere e di leadership: bisogna mettere in discussione l'idea che il potere è qualcosa che può essere imposto agli altri. Secondo l’approccio femminista il potere deve essere esercitato con gli altri, collettivamente e in collaborazione. Inoltre, il femminismo mira a dimostrare che il potere è in realtà costruito anche in modo collettivo. Una/un buon leader infatti non deve essere considerata/o colui che sa imporsi sugli altri, urlare più forte, decidere da solo, tutte caratteristiche attribuite da sempre al maschile. Una leadership efficace deve essere intesa come capacità di ascolto, di cura, di costruzione di gruppo, di delega, di condivisione. Se saremo in grado di far emergere un’altra idea di potere e di leadership, portando il tema della cura e della generatività al di fuori della sfera domestica ma al centro delle modalità pubbliche e politiche, le donne si sentiranno meno inadatte a ricoprire dei ruoli in cui continuano a sentirsi scomode. Occorre poi liberare il tempo delle donne, schiacciato dai compiti di cura e di lavoro. Considerato che di politica non si vive, a maggior ragione da quando i partiti non godono più del finanziamento pubblico e non vengono più remunerate le cariche, per una donna partecipare a riunioni serali e nei week end nelle associazioni, nei movimenti o nei partiti, implica poter contare su partner e servizi pubblici con cui condividere i compiti di cura della casa, dei figli e degli anziani.
Di cosa ha bisogno Genova?
Potrei elencare tanti progetti, ma prima di tutto Genova ha bisogno di immaginarsi il suo futuro. A Genova esiste una lampante questione giovanile e da essa dipende il futuro della città. L’assenza di prospettiva che si respira porta ogni anno scappare oltre 5000 giovani, fattore che di per sé non sarebbe un problema se questi potessero poi ritornare e se la città fosse meta di studio, vita e lavoro per altrettanti giovani da altre parti d’Italia e del mondo, ma così non è e l’invecchiamento della popolazione porterà la città a restringersi e diventare sempre più un luogo di provincia ancellare alle altre grandi città del Nord Italia che hanno saputo invece diventare città universitarie e di assumere nuove vocazioni. La questione generazionale è quindi cruciale e non è slegata dal tema del contrasto alle diseguaglianze in senso più generale. Genova è una città fortemente segnata dalle diseguaglianze, ci sono quartieri in cui si vive 10 volte peggio che in un altro, e nascere a Begato piuttosto che a Priaruggia incide fortemente sul destino delle persone. La famiglia in cui nasci, in un contesto generale di mancanza di progressione sociale e servizi, determina in larga parte il proprio futuro. Vivere in contesti privi di opportunitá vuol dire portare fin dai primi anni il peso di una grave discriminazione rispetto ai coetanei e comporta l’arrrestarsi sul nascere talenti e aspirazioni, limitando la portata dei propri sogni, o cancellandoli del tutto. Per questo come associazione Genova che Osa vogliamo animare un dibattito largo in città attorno alla proposta di un’ereditá per l’autonomia dei giovani, sviluppata in maniera simile anche da Fabrizio Barca e dal forum delle diseguaglianze. Abbiamo bisogno di un intervento per favorire la realizzazione personale e la partecipazione sociale dei giovani in un momento critico qual è l’ingresso nell’età adulta, quando si compiono scelte di vita fondamentali, attraverso una dotazione monetaria che è attribuita a ogni ragazza e ragazzo al compimento dei 19 anni. L’eredità può essere applicata dal comune di Genova o ancora meglio dalla Regione in una prospettiva sperimentale, perché dovrebbe diventare una politica nazionale. Abbiamo bisogno che le istituzioni facciano un investimento progettuale e concreto allo stesso tempo su quei tanti giovani che non hanno nessuno che lo faccia per loro. Perché la veritá è che se sei giovane in Liguria o hai la fortuna di avere una famiglia che investe su di te, oppure rischi di non avere niente.
Quali modelli hanno ispirato e continuano ad ispirare i tuoi ideali e i tuoi progetti?
Che cosa non può proprio mancare nella tua borsa?
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