Luglio 2021. Un anniversario importante per Genova: vent'anni fa accadeva il G8 e tutte le brutalità che ne sono conseguite. Non mi soffermerò su tali violazioni che hanno fatto indignare il mondo, ma che solo in pochi hanno pagato. La mia riflessione però, si vuole soffermare sul movimento studentesco dell’epoca e quello di oggi.
Gli anni universitari sono i più caldi, tante idee e progetti, il voler cambiare il mondo, stare dalla parte degli oppressi, scendere in piazza e far sentire la propria voce. Io ho studiato e vissuto a Padova, una delle città più attive a livello studentesco, sempre presente e in piedi per i diritti di tutti. Come dicevo anche per me sono stati anni caldi in cui, con i miei compagni di università, organizzavamo assemblee, partecipavamo a manifestazioni, facevamo trasferte, ed eravamo felici.
Mi ricordo la gioia, l’eccitazione, la voglia di urlare e cantare con un’unica voce, quella della protesta. Mi ricordo Verona 2019, il raduno nazionale di Libera, l’8 marzo, il Gay Pride, lo sciopero per l’ambiente. E ancora il sostegno al popolo curdo, a quello palestinese, senza nessuna distinzione. Mi ricordo anche la preoccupazione dei disordini che si venivano a creare inevitabilmente ad ogni manifestazione. La promessa solenne che le nostre erano azioni di resistenza pacifica e che non ci saremmo mai abbassati a combattere la violenza con altra violenza. Un credo che continuiamo a portare avanti, ognuno di quei 7 ragazzi, che denunciano, ricercano la verità, vogliono la giustizia, ma sempre come la legge richiede.
Un mondo ferito non ha bisogno di ulteriori tagli. Mi ricordo la paura che a volte ci sfiorava quando davanti ai cortei si schieravano poliziotti vestiti di tutto punto con caschi, scudi e manganelli. Sentivi le radio fremere e cambiare canale, li guardavi negli occhi senza mai rispecchiartici dentro, perché il loro sguardo trafiggeva l’iride di ogni manifestante, fino all'ultimo. Come se tu potessi essere un ostacolo, un pericolo, una scomodità dell’ordine del giorno. Mi ricordo le mani strette l’una all'altra, gli occhi vigili a cercare vie di fuga, le parole sussurrate nelle orecchie degli amici:”stiamo vicini e uniti”. Mi ricordo la tensione che ad ogni manifestazione ti abbracciava tutti i nervi del corpo, perché alla fine tutto era imprevedibile. Lo eravamo noi, i manifestanti e lo erano loro, i poliziotti.
In questi giorni di luglio più volte mi sono domandata cosa avessero provato quegli studenti che nel 2001 arrivarono a Genova a manifestare perché in disaccordo con le tematiche non discusse e della presenza dei grandi 8. Prima ancora che blindassero la mia città, si poteva respirare aria di preoccupazioni e disagi, mi chiedo i genitori di quegli studenti, gli amici o i fidanzati che paura potessero percepire. Chissà se anch'io, come quei ragazzi, sarei scesa in piazza vestita di bianco, o a riunirmi in una scuola, magari la mia. A quei tempi mia sorella aveva 18 anni e andava proprio alla Pertini, la scuola Diaz. Le chiesi più volte se avesse sentito il bisogno quella sera di trascorrerla nella sua scuola. Fortunatamente non lo fece. Molti dei genovesi si erano trasferiti nelle case al mare o dai parenti che le avevano. Mia sorella era all'ultimo anno e quando rientrò a scuola fu per la maturità. La loro palestra aveva ospitato gli esami, come da tradizione, la stessa palestra che vide massacrati quei ragazzi.
“Non potrò mai dimenticare il silenzio assordante di quella stanza, centinaia di ragazzi in silenzio con lo sguardo fisso per terra. Non riuscivamo a guardare i muri né i caloriferi, ormai puliti, perché potevamo ancora vedere le loro chiazze di sangue e tutta la violenza di quella sera”. Ogni volta che si parla del G8 mi chiedo io che vesti avrei indossato, se avessi disobbedito ai miei genitori per manifestare, come del resto ho sempre fatto? Se in via Tolemaide, in corso Torino e piazza Alimonda, con le mani dipinte di bianco, mi ci fossi trovata anch'io? Se anch'io mi fossi comprata i limoni per difendermi dai fumogeni, mentendo ai miei genitori e dicendo che andavo al mare per poi trovarmi parte attiva di quel corteo? Erano prevedibili i disordini e magari anche qualche scontro, ma nessuno poteva aspettarsi quella violenza, nessuno.
È il 19 luglio e guardo fuori dal finestrino del treno che mi sta portando al lavoro. Genova fatica a ricordare cosa successe vent'anni fa, le ferite profonde che furono inferte vengono ricordate a malapena. L’anima di questa città, molto più viva di altre, non ama ricordare i momenti che l’hanno messa in ginocchio, ma sicuramente dovremmo interrogarci di più su quello che è stato permesso ieri e su quello che oggi viene ancora permesso.
Giulia Marchiò
Le sue cittadinanze sono quella europea e genovese. Laureata in Comunicazione e laureanda in Human Rights. Attivista h24, ha una passione per i nativi del nord America, per i diritti dei carcerati e delle donne.
Ama viaggiare, il trekking, i tatuaggi e gli Ex-otago. Le piacciono le storie dei dimenticati e scrivere. Scrive ovunque, scontrini della spesa compresi.
Estremamente disordinata e maniacalmente organizzata, appassionata di astrologia, lettura fantasy e della Marvel.
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