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LETTURE NEL PATIO: "Troppa verità" di Paolo Calabrò .

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    Redazione TheMeltinPop
  • 20 apr 2022
  • Tempo di lettura: 2 min

L'AMICO AMERICANO.

STORIE D'OLTREOCEANO


di Emanuele Pettener


L’aria è tiepida, intarsiata dal consueto coro di uccellini: fischi, gorgheggi, do di petto. Sembrano così felici! Piccoli angeli che intonano canti di gioia al Signore, o alla natura, chissà.

È un giorno ideale per starsene nel patio, prima che il sole arroventi il cielo, e leggere Troppa verità di Paolo Calabrò (Bertoni, 2021).


Romanzo strano, originale nella trama e nella prosa. E anche qui: un coro. Il coro dei personaggi che a turno prendono voce e raccontano la propria versione dei fatti sull’assassinio dell’usuraio Ugo Mozzi, trovato incastrato fra le pale di un mulino in disuso.

A Calabrò va subito reso merito di una cosa: aver costruito una trama come si deve. La tanto disdegnata trama che, con puerili scuse postmoderne, tanti scrittori contemporanei hanno riposto in cantina, per una ragione ovvia quanto imbarazzante: non sono in grado di metterne su una.


Concepire e sviluppare una trama è uno fra gli aspetti più difficili e delicati nell’arte del romanzo, ed è per questo che il buon Borges la onorava e apprezzava quel genere letterario da tanti disprezzato che non può esistere senza una solida trama: il giallo.

E Troppa verità è un giallo, anche se più specificatamente rientra in quella categoria definita “giallo filosofico” (Calabrò di filosofia si nutre e dalle note biografiche scopriamo che dirige assieme a Diego Fusaro la collana filosofica “I cento talleri” per l’editore Il Prato).

Ma inserire un testo in un genere o in un altro ha poco valore, in letteratura esistono solo due categorie: libri scritti male e libri scritti bene. E Troppa verità è scritto molto bene: a una sofisticata architettura si abbina una scrittura forte, vigorosa, pulitissima – anche nell’uso calibrato della punteggiatura. (È scritto così bene che si può anche perdonare, a Calabrò, d’insegnare scrittura creativa: i ferri del mestiere effettivamente li conosce davvero e, contrariamente a tanti suoi colleghi, ha sicuramente una conoscenza da poter condividere).


Affascinante, infine, l’ambientazione: un remoto e minuscolo villaggio di montagna, isolato e duro da raggiungere, in un’ignota parte d’Italia, attraversato nella notte dal fantasma di una ragazzina – Erbolina – ammazzata nel ‘500 da un cavaliere spagnolo, secondo la leggenda con la quale s’apre il romanzo e che aggancia subito il lettore alle sue pagine.





 


Emanuele Pettener, nato a Mestre, insegna Lingua e Letteratura italiana alla Florida Atlantic University (Boca Raton, Florida), dove nel 2004 ha conseguito un Ph.D in Comparative Studies. Ha scritto numerosi articoli e racconti apparsi su riviste statunitensi e italiane. È autore dei romanzi È sabato mi hai lasciato e sono bellissimo (Corbo, 2009), Proust per bagnanti (Meligrana, 2013), Arancio (Meligrana, 2014), e Floridiana (Arkadia, 2021). Ha pubblicato il saggio Nel nome del padre del figlio e dell’umorismo. I romanzi di John Fante (Cesati, 2010) e, in inglese, la raccolta di brevi racconti A Season in Florida (Bordighera Press, 2014, traduzione di Thomas de Angelis).



 

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