Una luce poco fa (Piccole occasioni di gioia quotidiana)
di Elena Nieddu
La bambina indica i petali cremisi di Falstaff: “È mia, quella!”, cinguetta. La piccola ha l’aria un po’ retro, con la cuffia di pizzo bianco e i boccoli neri. Un giorno, forse, sarà un soprano d’opera, incanterà con la sua voce. Per adesso, cerca solo una via fra l’erba e le spine, un destino, dicono, tra gli infiniti possibili.
La donna bionda, con gli occhiali grandi da diva, si perde nelle sfumature beige e rosa di Paul Cézanne, gustose come un gelato alla pesca. Punta lo schermo del cellulare su quella rotondità, mentre l’amica lancia gli occhi azzurri in un mondo sfocato, oltre le foglie. Scatta un’immagine che nessuno vedrà, utile a fissare il momento. “Attimo, fermati” dice “sei pur così bello”.
La ragazza di vent’anni o poco più si sdraia, quasi, sul biancore di Iceberg. Indossa un vestito azzurro, troppo scollato per la temperatura variabile, dispettosa, che scende e bruscamente si rialza. Allontana il telefonino dal viso, cercando l’inquadratura giusta, prova e riprova, finché il sorriso le viene spontaneo, giusto prima che una nuvola spenga i colori.
Mentre osservo i vialetti in fiore del roseto di Nervi, punteggiati delle tinte più incredibili e attraversati da profumi paradisiaci, penso al piacere antico del passeggiare accanto ai fiori. Una delizia più femminile che maschile: se mi guardo attorno, mi accorgo di essere quasi esclusivamente in compagnia di donne, tutte intente a confrontare forme e sfumature, a inebriarsi degli odori che, improvvisamente, portano alla coscienza un senso di gioia intenso e primordiale.
Credo sia antico quanto il mondo, questo legame magico tra le donne e i fiori. Ha a che fa
re con la bellezza fragile e con la terra, che dà la vita e sporca le unghie.
Tra i viottoli del roseto si respira una pace solenne, come se si celebrasse un rito, di cui le donne, anche in sneakers e shorts, sono sacerdotesse: è il ringraziamento per un dono speciale, quello degli attimi che si susseguono uno dopo l’altro, sempre diversi, delicati come i petali, che continuano a vivere anche quando cadono a terra.
Elena Nieddu
Nata a Genova nel 1974, laureata in Scienze della Comunicazione all’Università degli Studi di Torino, ha conseguito il praticantato giornalistico all’Ifg “Carlo De Martino” di Milano. Nel 2019 è uscito il suo primo libro, “Senza pelle”, edito da Ensemble. Suoi racconti sono stati pubblicati da “Nuovi argomenti”, “La città”, “Letterate Magazine”. Per il quotidiano “Il Secolo XIX” si occupa di cultura, spettacoli e società.
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