Una luce poco fa (Piccole occasioni di gioia quotidiana)
di Elena Nieddu
Hanno mani leggere e intrecciate, sorrisi vaghi, occhi vuoti, capelli sparsi da onde invisibili. Escono dal gesso come liberandosi da una gabbia, fuggendo la tentazione di abbandonarsi all’aria. Hanno nomi e ruoli importanti: le Memorie, la Poesia, l’Amore, il Dolore. Ma, al di là del ruolo loro affidato, restano semplicemente esseri quasi umani, donne eteree fluttuanti in un mondo di mezzo: né vive, né morte.
La scorsa settimana ho avuto la fortuna di visitare Casale Monferrato e di scoprire, nelle sale ben curate del museo civico, un artista che avevo solo sentito nominare distrattamente: Leonardo Bistolfi. Nato a Casale Monferrato, Bistolfi prese parte al movimento della Scapigliatura e fu tra i maggiori esponenti del Simbolismo europeo tra Otto e Novecento. Molti lo conoscono come il poeta della morte, perché spesso personaggi importanti – come Cesare Lombroso, Arturo Toscanini o Hermann Bauer – gli affidavano la realizzazione dei monumenti funerari per loro stessi o per i loro cari, sparsi oggi nei cimiteri di tutta Europa.
Nelle sei stanze del museo, che si aprono attorno a un bellissimo chiostro affrescato, abbiamo un grande privilegio: quello di vedere, attraverso bozzetti in terracotta o in gesso, fino al modello definitivo, i passaggi della creazione di queste opere meravigliose. Osservando le venature impresse sulla materia, accarezzando con lo sguardo la sottile patina di grigio sui veli e sulle volute dei corpi, scivoliamo silenziosamente in una bottega fatata, spiando, non visti, il miracolo dell’arte. E, soprattutto, entriamo in una dimensione densa, compatta, abitata da creature leggere che sembrano muoversi autonomamente, accompagnate da un canto acuto, pieno di nostalgia.
Una volta tornata da Casale Monferrato, non ho saputo resistere alla tentazione di vedere dal vivo, al Cimitero monumentale di Staglieno, uno dei bozzetti di Bistolfi trasformato in realtà. Sulla tomba di Hermann Bauer, nel settore Protestante ho ritrovato le stesse creature senza occhi e senza voce, vibranti in una danza piena di sensualità. Nella giornata buia, infiniti granelli di polvere erano caduti sul marmo annerito, mentre il vento spargeva attorno le prime foglie secche. Mi sono fermata ad ascoltare quel momento, chiudendo gli occhi. Finché, con il sole di luglio, non è svanito.
Elena Nieddu
Nata a Genova nel 1974, laureata in Scienze della Comunicazione all’Università degli Studi di Torino, ha conseguito il praticantato giornalistico all’Ifg “Carlo De Martino” di Milano. Nel 2019 è uscito il suo primo libro, “Senza pelle”, edito da Ensemble. Suoi racconti sono stati pubblicati da “Nuovi argomenti”, “La città”, “Letterate Magazine”. Per il quotidiano “Il Secolo XIX” si occupa di cultura, spettacoli e società.
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