di Arianna Destito
Lo sfigato era il suo preferito.
Quello che balbetta la lezioncina appiccicata addosso come un vestito usato che il giorno dopo getti via.
Come osava stare li seduto davanti a lui un essere spregevole che non sapeva neppure prepararsi all’esame più importante dell’università di medicina? Come osava anche solo mostrarsi davanti a lui? Lui, Amedeo Castello, professore ordinario della Facoltà di Medicina. Luminare, cattedratico che passava la vita a insegnare anatomia umana a giovani studenti, per lo più noiosi, svogliati, impreparati. Per non parlare di quelli raccomandati che segava ancora più volentieri. Certo dipendeva da chi erano, raccomandati, questo è ovvio. Comunque lo capiva subito da come si presentavano all’esame e prendevano posto se avevano studiato oppure no.
Del resto il Professore – così lo chiamavano in facoltà − si comportava allo stesso modo con tutti quelli che riteneva sfigati, anche gli sfigati spavaldi che avevano l’aria di sapere tutto loro. E quasi sempre faceva centro.
“Mi parli dell’anatomia della vagina”. Era la domanda spiazzante, che nessuno si aspettava mai. La teneva come jolly. E alle studentesse in genere diceva:
“ Mi parli del pene e delle vie spermatiche”.
Quasi sempre erano tutti colpiti e affondati. In genere il volto dello sfigato di turno prendeva fuoco subito e restava allibito a fissare il vuoto. Si divertiva a mettere in imbarazzo i giovani studenti. Il più delle volte sapevano bene entrambi come andava a finire. Il più delle volte il Professore cacciava e bocciava.
Quasi nessuno passava l’esame alla prima.
Nessuno, tranne lei.
La vedeva sempre a lezione in prima fila. Viola Soprano di anni ventidue. Una bellezza da togliere il fiato, gli occhi verdi penetranti che lo fissavano per tutta la durata della lezione. E due tette da infarto. Non gli era mai capitato che una donna lo possedesse senza conoscerlo. Sembrava che lei, la giovane studentessa, gli leggesse nella mente. O almeno questo era quello che gli piaceva pensare. Certo era sempre stato sensibile al fascino femminile, ma con lei era diverso.
Mentre spiegava, in aula, lo sguardo del Professore cadeva sempre lì, tra quello che gli rasserenava la giornata e gli faceva amare il suo lavoro ingrato di insegnante di anatomia, tra le gambe accavallate di Viola Soprano. Lui, l’aria scura e severa, si ritrovava a sbirciare tra le pieghe di giovani, fresche, paradisiache cosce che lo facevano avvicinare all’estasi. Qualcosa di simile a quello che doveva provare un monaco di fronte alla prova dell’esistenza di Dio. Lei era superba. E alla fine lui mica riusciva a mascherarla troppo bene, la sua estasi. Ogni tanto qualche studente si dava gomitate di intesa e qualche risolino sfuggiva nell’austerità dell’aula. Ma si sa, al diretto interessato arriva per ultimo il barlume della coscienza e, del resto, all’estasi della ragione poco importa.
Il giorno dell’esame Viola si era seduta davanti a lui, il Professore tutto d’un pezzo, ed era perfino riuscita a parlare dell’argomento a piacere, cosa che neppure ai raccomandati di ferro era mai accaduta. Trenta e lode. E stretta di mano. Quella mano sulla quale indugiava, dalle dita sottili ed eleganti, con lo smalto trasparente alle unghie. Una mano che volentieri avrebbe trattenuto fra le sue.
Un giorno la giovane studentessa gli mandò un invito via mail. Era la festa studentesca di Capodanno. Con una piccola variante: il dress code d'obbligo in stile fetish. Lui, il Professor Castello, aveva sempre evitato queste pagliacciate. Sapeva che qualche suo collega vi aveva partecipato, sempre catalogandolo come idiota senza possibilità di redenzione. Mai mischiarsi con gli studenti. Per giunta con una frusta in mano e vestito di pelle. Tenere sempre le distanze. Marcare con nettezza le gerarchie. Tuttavia, la mail suonava intrigante. E la ragazza lo avvicinò un giorno all’università, prima delle vacanze Natalizie. “ Professore, spero di vederla alla festa” gli disse con uno sguardo ambiguo e carico di promesse. Pensò che, in fondo, per una volta, poteva accettare l’invito e che quel Capodanno avrebbe potuto essere l’occasione di sentirsi vivo come non gli accadeva da tanto tempo. L’anatomia umana di cui si occupava ogni giorno l’aveva appresa sui cadaveri e puzzava maledettamente di morte. E, invece, quella poteva essere l’occasione di assaporare delizie che non avrebbe mai più gustato, alla sua età. E poi pensò anche a quelle. Le tette di Viola Soprano che lui sbirciava di nascosto, prorompenti tra i bottoni della camicetta bianca lasciati distrattamente aperti.
All’appuntamento si era preparato con cura. Di certo doveva essere vestito perfetto, soprattutto perché nessuno lo riconoscesse. Mai e poi mai, per nessuna ragione al mondo. Come mascherarsi? Da pagliaccio pensò, ridendo amaramente. Qualcosa gli suggeriva che quello sarebbe stato il travestimento più consono. Cosa poteva spingere una studentessa di ventidue anni verso un uomo ultracinquantenne? Avrebbe dovuto dire subito di no, e invece ora era lì, tutto fremente, che si stava preparando con la fregola d’un adolescente all’uscita con la sua prima ragazza. Si sentiva ridicolo, ma non poteva rinunciare.
L’eccitazione saliva mano a mano che procedevano le ore. Pregustava ogni singolo momento che avrebbe trascorso con lei. Si chiedeva come sarebbe cominciato l’approccio, in che modo si sarebbero avvicinati e poi presi selvaggiamente. La desiderava come non ricordava di aver mai desiderato una donna. E, per quanto si compatisse, rideva tra sé e sé. Era così certo di vivere quel momento come un’illuminazione che gli sembrava di sentire sotto le sue mani la pelle fresca e vellutata del suo angelo erotico, colei che gli aveva posseduto l’anima prima ancora di avvicinare il suo corpo.
Alla fine decise che si sarebbe vestito da quello che era: un vampiro. Indossò il completo nero e la camicia bianca e, non senza imbarazzo, si recò in un negozio specializzato dove riuscì a procurarsi un mantello nero foderato di raso rosso. Senza battere ciglio, ignari del suo ruolo e della sua dignità, gli porsero mantello e cilindro, nonché gli immancabili lunghi canini finti del conte Dracula. “Ma no, grazie, questi non saranno necessari” si schermì il Professore, già abbastanza provato dall’eccentricità dell’abbigliamento. E gli venne in mente la ex moglie che lo accusava di essere un uomo non cresciuto; se lo avesse visto in un negozio del genere, cosa avrebbe pensato di lui? Si era premunito di una maschera nera per gli occhi, quella sì, per risultare il più possibile non riconoscibile, persino a se stesso. Soprattutto a se stesso. Anche guardarsi allo specchio, così trasformato, lo metteva a disagio. Arrivò in macchina in prossimità del locale della festa. All’entrata c’era la fila. Non riconobbe nessuno. Vide giovani studenti fasciati di pelle e latex, molti dei quali erano quelli sfigati che si sedevano davanti a lui per balbettare parole sconclusionate.
Cosa ci faceva lì?! Il cuore pulsava a mille. Il sistema di eccitazione del miocardio funzionava a meraviglia. Forse troppo, pensava, da dotto professore di anatomia. Si fosse misurato le pulsazioni avrebbe di certo riscontrato una sensibile tachicardia. Ma in quel frangente dell’anatomia non gliene fregava un cazzo. Si accese una sigaretta e aspirò tutto il veleno necessario per sopravvivere.
Si portò sul viso la maschera nera, scese dalla macchina e si calò il cappello a cilindro sulla fronte. Strinse per bene i lacci del mantello e chiuse sbattendo la portiera della macchina. Qualcosa lo trattenne: quel dannato mantello nero e lucido si era incastrato nella serratura. E sentì stringere sulla gola e per poco non ebbe l’impressione che qualcuno lo strozzasse. Si guardò intorno, per accertarsi che nessuno lo avesse visto. Tutti sembravano interessati a entrare nel locale e nessuno sembrava badare a quello strano tipo acquattato nell’ombra, nel posteggio delle automobili. La serata era mite, nonostante la stagione, ma lui, Amedeo Castello, in quel momento non sentiva né freddo né caldo. Gli arrivò un messaggio su WhatsApp. Era lei. Fu tentato di fuggire. Tornare tra le sue rassicuranti pareti di casa color pastello e sdraiarsi sul divano di fronte alla serie tv preferita. Ma forse quello era un segno del destino. Il messaggio giusto al momento giusto. Con quante paranoie si stava angustiando la serata! E perché, poi? In fin dei conti era un uomo di potere, un illustre professore, e il potere, il denaro e il prestigio costituiscono un mix non privo di fascino anche per una giovane donna. È vero, era calvo, e aveva qualche chilo di troppo, ma era pur sempre un Professore ordinario di anatomia della Facoltà di Medicina, quello che in altri tempi si sarebbe definito un barone. Ed era vestito come il conte Dracula. Prese coraggio ed entrò.
Cominciò a girare tra gli invitati. Ragazzi con bicchieri di plastica in mano, colmi di birra e allegria. Si guardò intorno e accanto a sé si ritrovò un dominatore pieno di cinghie e fruste. Poco distante persino qualcuno vestito da medico. E qualche ragazza da infermiera sexy. Che fantasia, pensò, e si disse che il difetto delle professioni sanitarie era proprio quello di essere scontate e prive di fantasia.
Gli passò accanto un ragazzo vestito da prete. Si voltò e lo sguardo si imbatté in un gruppo di giovani avvolte da abiti neri da suore con lo spacco inguinale. Sorrise. Dove era capitato? Non gli sembrava vero di ritrovarsi in un posto simile e si domandò perché non ci fosse venuto prima. Sembravano tutti divertirsi un mondo. Nessuno lo avrebbe riconosciuto.
Si avvicinò al tavolo dei cocktail e si servì una sangria. Era piuttosto scadente. Questa era la pecca delle feste studentesche: l’alcol scadente. Ma poteva soprassedere. La bevve tutta d’un fiato. Scadente e forte. Non soddisfatto, ne trangugiò altri due bicchieri di fila. Possibile che nessuno lo riconoscesse? Gli comparve accanto un ragazzo in smoking nero con tanto di fascia e papillon rosso, era uno di quegli sfigati che aveva bocciato. Idiota, puoi metterti in tiro ma resti sempre quello che sei, un coglione pensò.
Qualche ragazza era vestita da dominatrice con la frusta in mano e abiti succinti. E qualche giovane da dominatore con la tuta in lattice.
Cosa cazzo ci fai qui?
Ancora quella sua voce dell’anima che gli voleva sempre rovinare la festa. Si innervosì con se stesso.
Ci faccio quello che mi pare.
Si voltò nervoso e impaziente verso la porta d’ingresso e fu in quel momento che la vide.
Un tremore si impadronì del suo corpo. Viola Soprano di anni ventidue brillava sull’uscio in tutto il suo splendore. Aveva calzoncini neri aderenti che mostravano le cosce ben tornite, muscolose e sensuali. Un top che esaltava il seno da batticuore. E una lunga e nera treccia le ricadeva sulla schiena. Gli occhi verdi erano lucenti.
Era vestita da Lara Croft. Era meravigliosa. E, lui, il Professor Castello, si domandava se fosse reale o il personaggio uscito quella sera dalle pagine di un fumetto.
L’archeologa del mistero si avvicinò a lui, il vampiro assetato.
“Mi hai riconosciuto?” le disse quasi balbettando.
“Ti riconoscerei tra mille” gli sussurrò all’orecchio Lara Croft.
Lui le porse un bicchiere di sangria che bevvero accennando un brindisi.
Poi lo prese per mano.
Lara Croft e il Vampiro si allontanarono insieme. Lo condusse verso un corridoio. Qualche coppia era impegnata a baciarsi appoggiata al muro. Cat Woman si strusciava con un ragazzo vestito da donna. E l’effetto sexy era garantito. Wonder Woman si baciava con Mr Bean. Spiderman con Batman. Qualcuno si faceva una canna.
Lei aprì la porta di una stanza immersa nel buio più completo. A lui non sembrava vero d’essere lì.
Lo spinse contro il muro. Gli ansimò nelle orecchie e iniziò a baciarlo. E a far sentire il suo corpo caldo ed eccitato. Lui, impacciato e tremante, allungò la mano su quelle forme sode e sensuali che mai avrebbe pensato di sfiorare se non nelle sue fantasie più segrete.
Le prese la mano e la guidò verso il suo sesso, ritto in un’erezione spaventosa come non gli succedeva da tempo. Forse come non gli era mai successo.
Lei gli sussurrò di non essere impaziente.
“Non vuoi sentire il mio sapore?” gli disse.
Lo fece inginocchiare, scaraventando il cappello a cilindro lontano. Gli strappò la maschera nera dagli occhi con forza, tanto che l’elastico gli rimbalzò sulla guancia e gli fece un po’ male. Ma gli piaceva, eccome se gli piaceva quella ragazza che sapeva il fatto suo.
Gli prese la testa e la appoggiò tra le sue gambe, tirandola a sé come volesse spingerla dentro di lei.
Lui accompagnò il movimento immergendo il viso ancora più a fondo, respirando quell’odore di femmina e di desiderio che lo facevano sentire schiavo e libero allo stesso tempo. Inebriato e in estasi.
Fu in quel preciso momento che lei, Lara Croft, decise di illuminargli l’anima. E la sua eccitazione. Un clic. E la luce spense il sogno.
Un applauso a scena aperta partì spontaneo dal centro della stanza.
Senza avere il tempo di realizzare quanto accadeva, il Professore si ritrovò con tutti gli sfigati che aveva cacciato ai suoi esami. Tutti lì, intorno a lui. Tutti con gli smartphone in mano a immortalare lui, la sua erezione e la sua figura di merda.
Alzò lo sguardo con la bocca spalancata su di lei che lo guardava compassionevole e vittoriosa.
Lara Croft aveva messo in ginocchio il Vampiro.
Nel silenzio si levò una voce dal gruppo di ragazzi: “Professore mi spiega, ora, l’anatomia della vagina?”
Una fragorosa risata travolse le velleità del Professor Amedeo Castello, la sua eccitazione e la sua vita.
Racconto tratto dall’antologia “Capodanno bastardo” a cura di Eliselle, Damster 2017.
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