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LA CAREZZA DEL PIANOFORTE. Una luce poco fa

  • Immagine del redattore: Redazione TheMeltinPop
    Redazione TheMeltinPop
  • 23 apr 2021
  • Tempo di lettura: 3 min

(Piccole occasioni di gioia quotidiana)




di Elena Nieddu



Il pianoforte non c’era, nella mia vita di prima, ovvero nel tempo lungo e molle in cui ero impegnata a studiare, lavorare, cambiare tre città e undici appartamenti in affitto.

Il pianoforte è tornato nella mia vita poco più di due anni fa, quando mi sono trasferita nella casa sulle alture in cui vivo adesso. Ricordo il giorno in cui l’ho visitata per la prima volta: vedendola piena di luce, dolcemente antica, ho pensato che lì, addossato alla parete intuibile dalla porta a vetri bianca, sarebbe stato bene il pianoforte. Mentre l’agente immobiliare cantava le lodi dell’esposizione, sorridendo sotto i baffi, io pensavo soltanto allo strumento nero e lucido che finalmente avrei potuto avere accanto.


Formalmente, quindi, il pianoforte verticale appartenuto a mio nonno, pieno delle sue impronte sui tasti, del peso delle sue dita, ma anche di macchie di incerta provenienza, è tornato nella mia vita due anni fa. Formalmente: perché soltanto da un anno ho iniziato a suonarlo, dopo averlo fatto accordare da un ragazzo molto gentile che lo ha prima scoperchiato, mostrandomene il meccanismo. E’ stato, per me, come vedere un corpo nudo, anzi, come guardare l’anima di qualcuno tenendola nella mano.

Da quel momento, non è passato un giorno senza che io non mi sia seduta davanti alla tastiera e non abbia suonato qualche nota. All’inizio, percepivo il pianoforte come un essere ostile: era come se i tasti mi respingessero. Il suo modo per farmi sentire un’ospite poco gradita era emettere suoni sgraziati, scoordinati. Poi, piano piano, ho avuto l’impressione di domarlo: adesso è più morbido, più affabile, forse apprezza i miei sforzi sovrumani nell’imparare a leggere in chiave di basso, quei minuti eterni passati a contare le righe e a cercare di far diventare automatico ciò che non lo è.


Percepisco il pianoforte come un essere vivo, con il quale intrattengo un dialogo.

Così, sono felice quando i passaggi diventano più fluidi, e gioisco davvero quando ciò che era faticoso diventa leggero. Come dice il maestro del mio coro – quanto mi manca cantare insieme… , “le cose sono facili quando si sanno!”. A volte, mi concentro talmente tanto sulle frasi da avere la sensazione di essere dentro la musica: non è la stessa emozione che si prova davanti a un panorama meraviglioso, piuttosto è il sentirsi parte di un tutto, lo stare bene esattamente nel punto dove si è.


Credo che nel pianoforte ci sia tutta la musica del mondo.

Sono lì dentro le Variazioni Goldberg di Bach, i preludi di Chopin, il “Chiaro di Luna” di Debussy e la “Rapsodia in blu” di Gershwin.

Devo solo imparare a liberarli.

Tuttavia, la cosa più bella del pianoforte è un’altra: è sentire la carezza di mio nonno, ancora, sulle dita.




Photo by Claudio Castellini

Elena Nieddu

8 ata a Genova nel 1974, laureata in Scienze della Comunicazione all’Università degli Studi di Torino, ha conseguito il praticantato giornalistico all’Ifg “Carlo De Martino” di Milano. Nel 2019 è uscito il suo primo libro, “Senza pelle”, edito da Ensemble. Suoi racconti sono stati pubblicati da “Nuovi argomenti”, “La città”, “Letterate Magazine”. Per il quotidiano “Il Secolo XIX” si occupa di cultura, spettacoli e società.








2 comentarios


Cristina Tammaro
Cristina Tammaro
23 sept 2023

Mio padre Nunzio ai suoi sei figli spesso diceva la frase impara l'arte e mettila da parte lo strumento per la vita

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Cristina Tammaro
Cristina Tammaro
23 sept 2023

Mio padre Nunzio ai suoi sei figli spesso diceva la frase : impara l'arte e mettila da parte ,lo strumento per la vita

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