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L’epifenomeno Biolé e la lista dei puri e degli onesti

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    Redazione TheMeltinPop
  • 5 mar
  • Tempo di lettura: 6 min

di Andrea Acquarone


Ieri alle 17.30 allo  Stradanuova Teatro Centrale Filippo Biolé ha presentato la sua candidatura a Sindaco di Genova. Un appuntamento che di per sé, se si alza lo sguardo dalle piccole questioni genovesi a un contesto più ampio, non significa molto, eppure può essere preso a simbolo di un certo modo di essere e di fare delle forze progressiste contemporanee, su cui vale la pena ragionare.


Genova si appresta, se non verranno fatti errori troppo grossi, a tornare tra le città a guida progressista, dopo circa otto anni, aprendo la strada a un possibile cambio di ciclo che chiuda definitivamente il nefasto decennio totiano. Anni perduti, fatti di paillettes di terz’ordine e salami, mortai gonfiabili e spartizioni spregiudicate (anzi, passate in giudicato). Un modello amministrativo da regione sottosviluppata, con gli indicatori economici e demografici che arretrano tra uno sparo e l’altro dei fuochi d’artificio. Una Liguria e una Genova di cartapesta.


Non è inutile ricordare che le opposizioni in questi anni hanno largamente contribuito al regresso economico, culturale e sociale del territorio; noi lo abbiamo evidenziato diverse volte, talvolta con una certa solitudine. È vero però che la scelta di Salis, pur travagliatissima, si pone in forte discontinuità con quanto successo nel passato più o meno recente, e merita quantomeno un’apertura di credito.

Questo non significa un atteggiamento aprioristicamente acritico. Ognuno può avere le proprie riserve, timori, perfino rancori – magari non verso Silvia, che è appena atterrata nel mondo della politica genovese,  ma verso le forze che la sostengono, o qualcuno dei suoi rappresentanti. Queste emozioni sono legittime, in certi casi pure giustificate; epperò non può sfuggire la differenza di prospettiva che rappresentano Piciocchi e Salis, e la possibilità che rappresenta quest’ultima. La novità, l’indipendenza, lo spazio che apre, canale attraverso cui provare a influire sulle politiche della città, siccome ovviamente Genova non la potrà governare una persona sola. Certo, c’è un lavoro da fare in questo senso per farsi ascoltare, trovare i modi, i temi da proporre, un esercizio di scrematura, di concretezza; trovare un posto adeguato all’interno di una coalizione composita, di forze e di persone, per far arrivare il proprio contributo. Mettere anche da parte l’ego, nel caso uno o una si sentisse adatto a giocare da titolare centravanti, mentre invece parte dalla panchina e in altro ruolo. 


La destra ha molto chiaro questo modo di fare, e tende a vincere, anche in virtù di una simile attitudine. Si dirà che questo non è un argomento valido per la parte progressista, perché in essa è connaturato uno spirito di libertà e differenziazione che stride con gli appelli a serrare le fila. E poi la destra ha una mentalità affaristica e di spartizione, che giustifica la disciplina in vista del profitto: è un ordine interessato quello a cui si sottopongono i suoi rappresentanti. Sono discorsi veri solo fino a un certo punto, e più che altro lasciano il così detto tempo che trovano. Per vincere si sta insieme nelle differenze: cosa si cita a fare la Resistenza se non si è appreso questo? Poi, nell’unità si può e si deve provare a far valere le proprie sensibilità, visioni, differenze, con la dialettica. È un processo non sempre gradevole, ma si può dire che è così che gira il mondo.   


Cosa mostra invece l’esperienza di Biolé – non già Filippo in sé, ma il suo epifenomeno? Per dirla con una battuta, essa è simbolo della pervicace attitudine al suicidio delle forze progressiste contemporanee, del loro attaccamento emotivo all’irrilevanza. Dicono quelli che sostengono Biolé, andando alla sostanza, che Salis avrebbe uno stile bling bling che non li rappresenterebbe, e che se ora lo ha smesso è solo una posa. Ah!, si disperano, come non accorgersene, come non vederlo! Sono tutti dei cretini? O sono in mala fede? Ma la sinistra è un’altra cosa, la sinistra è Biolé! (Per inciso, sono gli stessi argomenti di Lussana, cosa che dovrebbe far riflettere). Il diretto interessato sostiene invece con candore che era meglio lui, e che le forze politiche che oggi sostengono Salis avrebbero potuto bene sostenere pure lui. Certo, in quel caso, quelle stesse forze sarebbero state sagge e ponderate, giustamente ambiziose; non avendolo fatto, diventano non potabili. Cosa che apre le porte a una dialettica di delegittimazione, specie negli interventi del supporter numero uno, l'eterno Pierfranco Pellizzetti, campione del “muoia Sansone con tutti i filistei”.


Quella che ha inaspettatamente colpito Filippo Biolé, fino a ieri apprezzato rappresentante della società civile genovese, è dunque una malattia tipica della sinistra contemporanea. Tolti gli aspetti personali (il disgusto nel dover fare trafila, “ormai ho cinquant’anni”, l’ego forse non sufficientemente curato), si cerca di nascondere l’incapacità a giocare di squadra, comprendere il proprio ruolo in relazione a quello degli altri, forse anche la paura a prendersi la responsabilità di governare non da soli, dietro a una pretesa purezza.

Ma purezza di cosa? Certo che se uno corre per il 3% può essere puro. Crucioli ha preso il 3,6% alle scorse amministrative, con grande coerenza. Anche Marras, comunista, l’1,9%, senza alcun compromesso. Ma cosa serve a Biolé, che non è antisistema come Crucioli, né comunista come Marras, bensì un’onesta personalità di centrosinistra come ce ne sono diverse, tanto da poter pensare a un certo punto di essere il candidato unitario? In cosa sta la sua purezza? Perché sarebbe onesto, mentre le forze politiche, il famigerato PD affarista e dedito alla spartizione, sarebbero decrepite e autoreferenziali? Boh. E se avessero candidato lui si sarebbero redente? Non è chiaro. Cosa rappresenta Biolé se non la tentazione di vedere se è possibile perdere anche stavolta?


Chi scrive non ha certo timore di essere considerato organico a nulla. Ho attaccato e sferzato la mia parte, quando era necessario farlo, e non senza conseguenze. Nemmeno ho niente, a rigore, da attendermi dal nuovo corso. Sono ben cosciente che molte logiche e interessi influiscono sull’azione di chi si appresta a entrare in carica; del resto uno non è obbligato ad andare col piattino, se è questo ciò a cui Biolé non voleva abbassarsi: se proprio si vuole ragionare in modo materiale, si può tarare il proprio impegno, a seconda di quanto ci si aspetta di ottenere. Anche qui, sono questioni di stile. Non si è neppure costretti a contribuire, se non ci sente giustamente considerati, anche se è ingenuo non capire che ci sarà sempre qualcuno più avanti, più “vicino”, più “inserito”, senza che il merito lo giustifichi. Far finta di non vedere le “ragioni politiche” dietro a certe scelte, quand’anche non le si condividano, è un esercizio ipocrita di populismo.


Ma se fare quello che “allora non gioco più” è sempre legittimo, ancora diverso è portarsi via il pallone. Mi si nota di più se vengo e sto in un angolo o se non vengo proprio? In cosa differisce l’idea di città di Biolé e di chi lo sostiene, rispetto a quella di Salis e della coalizione? Come ci si sente a sostenere la corsa di Biolé? Il brivido di non tradirsi, di non rinunciare ai propri ideali? Ma davvero si riduce così tanto a una persona, dato che la coalizione è la stessa? Uno può capire fosse stato scelto un dirigente del PD, magari chiacchierato. A quel punto si innescava un discorso diverso, perché sarebbe stato il segnale  della volontà inestirpabile di non emendarsi, e perdere pur di non avere interferenze, del così detto “primo partito”. Allora era giustificata una corsa alternativa, il tentativo di ricostruire una sinistra genovese al di là di quella dei partiti, al di là della singola tornata. Ma ciò non è avvenuto, anche per via di un lavorio di persuasione e logoramento, che non ha comunque fatto Biolé. Adesso, continuare la corsa come se avessero candidato un impresentabile, per un civico di centrosinistra che non abbia ambizioni soltanto personali (vedere il proprio nome sui cartelli per due mesi) significa rinnegare la propria area e fare il gioco degli altri. Quand’anche si ritenga di non aver ricevuto abbastanza considerazione, c’è modo e modo di reagire.


Fondamentalmente, è una questione di stile, di senso del limite, di sobrietà, di eleganza. Per carità, non sono cose da tutti. Ma chissà che gli elettori, nel momento della verità, non vi diano più peso di quanto non si creda. Chissà che Filippo Biolé, a un certo punto, non capisca che rinunciarvi significa rinunciare a una parte di sé. Un ruolo per una persona capace, nella prossima amministrazione di centro-sinistra, se è quello che serve, lo si trova di sicuro. Speriamo in ogni caso di risparmiarci la lista dei puri e degli onesti, perché è sempre stata una roba stucchevole anche quando era in auge; adesso sa pure di relento, e mette moltissima tristezza.

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