GENOVA BOOKPOP FESTIVAL:
3 domande sul Divenire
In un'attualità di profondi cambiamenti e di rapida trasformazione, Genova BookPop Festival - che si terrà nel capoluogo ligure dal 24 al 27 ottobre - si apre quest'anno al Divenire e si propone di indagarne le forme, i dubbi e i dissidi che porta con sé, le reazioni che provoca. Ma anche le scoperte, le opportunità, i nuovi orizzonti. Una pluralità di sguardi per trovare un percorso comune verso obiettivi comuni.
Per prepararci ad accogliere gli ospiti che per quattro giorni ci condurranno attraverso questo tema, Themeltinpop ha posto loro tre domande sul Divenire.
Ilaria Gaspari è filosofa e scrittrice. Nata a Milano, ha studiato filosofia alla Scuola Normale di Pisa, poi si è addottorata a Parigi, all’università Paris I Panthéon-Sorbonne. Tra i suoi libri: “Etica dell’acquario” (Voland 2015), "Ragioni e sentimenti. L’amore preso con filosofia" (Sonzogno 2018), "Lezioni di felicità. Esercizi filosofici per il buon uso della vita" (Einaudi 2019), “Vita segreta delle emozioni" (Einaudi 2021), “A Berlino con Ingeborg Bachmann” (Giulio Perrone 2022), “La reputazione” (Guanda 2024). I suoi libri sono tradotti in diversi Paesi. Ha realizzato per Emons Record due podcast: Chez Proust nel 2022, e Bachmann nel 2023. Collabora con diverse testate giornalistiche, fra cui “7”, “Amica”, “Domani”, “Il Post”. Su RaiPlay è il volto della trasmissione “PlayBooks” dedicata al mondo dei libri. Ogni domenica mattina è su Radio3 con il programma “Zarathustra. Tracce per non perdersi nella nebbia”, che conduce insieme a Pietro Del Soldà. Da diversi anni tiene corsi di scrittura.
Nel tuo romanzo "La reputazione" esplori il delicato equilibrio tra l'immagine che diamo di noi stessi e quella che gli altri hanno di noi. Come si coniuga questo tema con il concetto di divenire? In che modo la reputazione, costruita giorno dopo giorno, influenza la nostra capacità di evolverci e trasformarci e in che modo la calunnia può innescare un processo di cambiamento, sia individuale che collettivo?
Non credo che esistiamo se non nel divenire: non esiste identità che sia fissa. Basta vedere come ci cambia anche, semplicemente, un desiderio esaudito: non siamo più gli stessi, nemmeno quando le cose vanno come vogliamo noi. Ogni evento esistenziale ci cambia. Lo sapeva bene Montaigne, che inaugurò in un certo senso la moda della scrittura di sé con un autoritratto tutto mosso, un autoritratto in movimento. Perché il sé è dinamico. Lo sapeva benissimo Proust, non a caso grande ammiratore di Montaigne. Buffo vedere le risposte diverse che nel corso della vita diede alle domande del questionario che oggi conosciamo appunto come “questionario di Proust”. Paradossalmente, però, l’immagine che gli altri hanno di noi, siccome risponde in parte all’esigenza che tutti abbiamo di catalogare, categorizzare, etichettare il mondo, è spesso più statica della realtà di quel che siamo e persino delle nostre manifestazioni in superficie, del modo in cui appariamo. La reputazione, intesa come l’idea che dall’esterno gli altri si fanno di noi, ha una pesantezza specifica per cui capita che, nel momento in cui quell’idea cambia (e questo è evidentissimo in seguito a una calunnia, caso estremo dell’ingiustizia e persino della violenza a cui quell’immagine, di per sé potenzialmente neutra, può arrivare) talvolta può distruggere la reputazione, come un oggetto che, lanciato, si spacca proprio a causa della sua rigidità.
In un mondo in continua evoluzione, come percepiamo il concetto di divenire? È una costante inevitabile o una sfida da affrontare? In che modo il divenire influenza la nostra identità, le nostre relazioni e la nostra visione del futuro?
Penso che dovremmo prendere sul serio il senso del divenire, come una forma di flessibilità, di adattabilità, e un segno del fatto che siamo tutti soggetti alle trasformazioni, proprio perché, in quanto esseri viventi, siamo aperti al contatto col mondo, con quello che sta fuori di noi e modella la nostra esistenza e anche con le condizioni stesse del nostro esistere, spazio e tempo. Oggi trovo un po’ buffa l’idea che si chiami “generazione” un lasso di tempo minimo, che non corrisponde affatto a una generazione ma magari più a un decennio. So che l’accezione della parola è scivolata a significare non più la distanza fra genitori e figli ma la distanza segnata soprattutto dalle evoluzioni tecnologiche, e capisco che ha un senso, ma mi pare, a volte, un’esagerazione di differenze che si presumono connaturate a queste varie “generazioni” e che invece magari hanno semplicemente a che fare con le varie fasi della vita. Penso che se tutti ci rendessimo conto che siamo soggetti al cambiamento, che siamo anzi soggetti di cambiamento, e lo accettassimo, saremmo molto più aperti e generosi verso gli altri, e anche verso noi stessi, più elastici.
Nel percorso personale, la scelta tra lasciare e trattenere è una decisione inevitabile ma a volte profondamente combattuta. Nella storia del tuo divenire come individuo, in che misura riesci a lasciare andare e in che misura finisci per trattenere?
Trattengo con tutte le mie forze i ricordi, infatti sono una di quelle persone estremamente disordinate, che conservano biglietti del tram del tempo del liceo per ricordare un bacio dato a un compagno di scuola di cui non so più niente, atterrita e insieme attratta dalle storie di Sepolti in casa che mi suonano come monito. Però mi sono resa conto che in realtà, in certe fasi della vita, in certi momenti magari un po’ difficili o semplicemente cruciali per il corso dell’esistenza, una volta superata la paura, non ho difficoltà a lasciar andare. Lascio andare qualsiasi cosa, se sento che è necessario. È liberatorio.
L'appuntamento di Genova BookPop Festival 2024 con Ilaria Gaspari sarà giovedì 24 ottobre alle ore 18 alla galleria Rossetti Arte Contemporanea di Genova.
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