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Il Dioniso scalzo

  • Immagine del redattore: Redazione TheMeltinPop
    Redazione TheMeltinPop
  • 3 ott 2021
  • Tempo di lettura: 3 min





Mi sono fatto un’idea che è senz’altro sbagliata, esagerata e sconclusionata, ma me la sono fatta. Se Chet Baker non fosse mai transitato per Lucca, i lucchesi non avrebbero mai inventato il Summer Festival (dove si sono esibiti i migliori) e ancor più, non sarebbero mai riusciti a portare i Rolling Stones a suonare Sympathy for the Devil sotto le antiche mura.


Un seme, profondamente piantato nel cuore della città dal 1960, Chet Baker, nel cuore oscuro, nella galera di San Giorgio. Sedici mesi di reclusione per droga e il permesso di suonare la tromba in cella, un po’, ogni giorno.


Il 15 dicembre del 1961, quando uscì, gli amici jazzisti organizzarono per lui un concerto dopo aver ascoltato per tanto tempo la sua tromba sotto le mura della prigione.


Proprio qui comincia la piccola storia in cui mi sono imbattuto e di cui ho ricevuto testimonianza nella foto che Nilo Lenci mi ha regalato e che fu scattata proprio il 15 dicembre del ’61 allorché Chet Baker varcò la soglia del carcere nel senso buono con un paio di ciabatte ai piedi. Non aveva le scarpe.


Questa è la storia, e un gruppo di amici tra cui Alcide, lo storico fotografo di San Frediano, presero il trombettista e lo portarono dal Lenci in via Fillungo. Fecero una colletta cui partecipò anche il vecchio Nilo e gli regalarono le scarpe.


Non ci credevo, ma Nilo Lenci, in un lontano giorno del 2005, mi ha messo la fotografia sotto il naso e allora tutto è diventato vero. Della foto ho fatto un quadro e l’ho appeso come un cimelio in salotto e tutte le volte che la guardo, vedo un americano in jeans con i risvolti, lo spolverino e il berretto, un marziano per la Lucca di quel tempo. Vedo una storia dell’età del jazz di noialtri, così serrati dentro la provincia italiana come in una boule-de-neige, che lo scandalo di Chet Baker, trovato in overdose nel bagno di una stazione di servizio, aveva agitato facendo turbinare la neve.


Tutto è sedimentato, almeno per me, fino a quando ho recuperato questa banalissima storiella e l’ho innescata, con il permesso di Nilo, in un romanzo (L’Abat-Jour) che racconta di un piccolo cineasta di Lucca che gira i suoi film dal di dentro delle mura, come una scatola nera. A quel tempo, tra il luglio 1960 e il 15 dicembre 1961, Lucca ha catturato il suo Dioniso scalzo e lo ha schiaffato in galera. In tanti sono andati ad ascoltare note che uscivano da una finestra con le sbarre e poi qualcuno gli ha regalato un paio di scarpe.


Chissà se la magica sera del 23 settembre 2017, quando Mick Jagger ha pronunciato le fatidiche parole pleased to meet you, hope you guess my name, qualcuno ha pensato a Chet Baker.







Guido Del Monte, 1969, toscano di Viareggio. Ha esordito con la drammaturgia nel 1994, una sua pièce dedicata a Bukowski è apparsa sulla rivista Baubo. Nel 2016 è ideatore del progetto editoriale maison Nouvelle Vague ed escono: Le Protagoniste,Il Souvenir(2017) – dedicati alla memoria di Eric Rohmer – Al Livello del Mare (2018), Il Giorno della Sciamana (2018, sotto pseudonimo) e viene ripubblicato Costa West, romanzo d’esordio del 2000 (Baroni editore) già ripreso da Cinquemarzo nel 2012. Nel 2019 esce per ETS di Pisa, L’Abat-jour, interno lucchese (tra i dieci finalisti del premio Un Libro per il Cinema – Il Cartoceto ed. 2019). Ottobre Fest (Robin) - 2021) è il suo ultimo romanzo




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