CONVERSAZIONE TRA ALESSANDRO GIANETTI E MARINO MAGLIANI
C’è una frase di Lawrence Stern, in Viaggio sentimentale, che ci sembra adatta a presiedere questa conversazione:
"Gli oziosi che lasciano il loro paese per andare all'estero hanno le loro buone ragioni, ma tutte derivano da una delle seguenti cause generali: malattia del corpo, imbecillità della mente o necessità improcrastinabile."
Gianetti: Dovendo scegliere, direi che nel mio caso è stata necessità improcrastinabile, oltre a una certa innegabile imbecillità della mente. Avevo bisogno di viaggiare ancor prima di sapere che cosa significasse, e sono dapprima rimasto in Toscana, a Siena, poi sono andato a vivere a Bologna, Bruxelles, Madrid, Londra, poi di nuovo Madrid e infine Siviglia. Sono nato a Firenze ma sapevo di dover andarmene, ricordo il richiamo di una lontananza che non conoscevo ancora. Volevo anche illuminare alcune zone d’ombra. Forse è per questo che ho scelto un paese con tanto sole. Qui in Spagna ce n’è tanto che gli ulivi crescono fino a 900 metri, non come nella Liguria di Marino...
Magliani: Per me invece nessuna necessità, un po' della seconda causa, forse (come si fa a scegliere una terra senza sole, come l'Olanda?), ma sopratutto un sentimento forte per la diserzione. Fin da bambino non mi sono mai sentito altro, un disertore, neppure un esule. I primi 9 anni, diciamo dai 20 ai 29, li ho trascorsi lungo la Costa Brava, le isole Canarie e le pampe, sempre di notte e sempre d'estate, e ho pochi ricordi, o li ho molto belli... Poi mi sono dedicato alla letteratura, alla scrittura e alla traduzione, e queste cose hanno riempito il tempo.
Gianetti: C'è una certa retorica che circonda il viaggiatore, un tipo che ha la necessità di spostarsi come del mangiare. Si celebra, o si compatisce, dipende dai punti di vista, l’inquietudine, la non conformità. Il viaggiatore insomma vuole aggiungere cose che non ha, costruire un percorso dell’esperienza. Quando lo ha fatto, non ha più la necessità improcrastinabile di spostarsi. È una necessità che a un certo punto si può estinguere, come la sete o la fame. Per questo poi ci si ferma.
Magliani: Io non ho mai certificato - non ci sono mai riuscito - o catalogato i miei viaggi, se non riconoscendo in loro il mio nomadismo, un certo nomadismo, un animale che si sposta dotato della sua conchiglietta che quando il sole brucia si accorge però che la conchiglietta non basta e allora si scava una fossa nella sabbia. Sarà per questo che i miei scritti sono pieni di storie di sabbia. Forse tutto questo dipende dai luoghi, che per me, se mi guardo indietro, erano piuttosto dei non luoghi. Mi sono imbarcato e per mesi e mesi non ho fatto altro che navigare da Genova a Bastia, senza mai fare un passo oltre quei moli e conoscere almeno, non dico la Corsica, ma la città di Bastia. Lo stesso in Costa Brava, anni a vivere in città di plastica e la notte, cosa posso dire della Costa Brava, della Catalogna? Nulla. Un anno a Lincoln nella Pampa come vivere un anno a Locate Triulzi e non poter dire nulla dell'Italia.
Gianetti: Il punto è che a volte il corpo ha una patria e l’anima ne ha un’altra, in senso religioso, nei secoli dei secoli, per chi ci crede, ma anche in senso geografico, nei chilometri dei chilometri. Un paese straniero può essere per chiunque un lavoro, un amore, una noia o un’attesa, perfino un'ossessione. In certe città la forma delle strade, i dossi, il modo di parlare delle persone, gli sguardi dei camerieri, coincidono con quello che una parte di te ha sempre creduto di dover trovare. Ogni volta che metto piede a Madrid, per esempio, sento di essere a casa, come se sedessi in un’immensa poltrona al centro di un salotto che mi appartiene da generazioni.
Magliani: Ho avuto la stessa sensazione da bambino, ma davvero piccolo, prima ancora della scuola, vivevamo a Castanet-le-Haut, mio padre lavorava nella campagna di un grande proprietario, c'era una villa e noi vivevamo lì perché il proprietario immagino avesse altre ville. La vita mi sembrava bella perché ero felice, se mi avessero detto che da quel giorno non lo sarei mai più stato e quella riserva sarebbe dovuta bastare al corpo e all'anima, avrei convinto i miei genitori a fermarci lì eternamente. Non ci sono mai più tornato, non saprei neanche più come arrivarci, e neppure se Castanet-le-Haut, con tutti i suoi trattini, esista.
Gianetti: Tu dici di aver vissuto la Costa Brava, le Canarie e la pampa di notte, e questo mi fa venire in mente che la vita notturna che capita di vivere al protagonista del mio primo romanzo, La ragazza andalusa, è molto diversa da quella che hai conosciuto negli anni Ottanta. A quel tempo, se non ho capito male, c’era una componente di rivendicazione, di emancipazione e di ribellione che oggi si è trasformata anche in evasione. Tuttavia la dimensione selvaggia della vita notturna spagnola non si è persa, ed è ancora oggi fondamentale per capire il modo di vivere di questo paese. È stato impressionante, ad esempio, vedere il comportamento della popolazione durante questa pandemia. Si organizzavano feste clandestine; i postriboli, che in Spagna sono legali, continuavano a funzionare, spesso senza rispettare le condizioni di salute di lavoratori e clienti. Si è dimostrato quanto gli sia endemico un certo stile di vita socievole, disordinato e un po' chiassoso. È come una specie di vizio incurabile.
Magliani: Ricordo che la vita notturna degli anni Ottanta era popolata di stelle, ci sentivamo tutti delle stelle, la cui luce bruciava alla luna ogni notte e ogni notte prima dell'alba morivamo, se non ci fosse stata la turista di turno che ci portava a casa non ci saremmo mai giunti, ma la domanda è: come facevano le turiste a conoscere la strada di casa?
Gianetti: Credo che ci sia differenza tra chi viaggia con la mente, con la letteratura, e chi invece si sposta, viaggia in un paese lontano, e da lì concepisce la sua scrittura. Pensiamo all’esempio classico per eccellenza, Il viaggio attorno alla mia camera, di Xavier de Maistre. Il protagonista non lascia sua stanza, eppure ricostruisce, immagina e fantastica in tutto il libro. Per chi intraprende il viaggio comincia l’avventura che può scottarti, metterti in difficoltà. Insomma, la sua posizione rispetto al mondo cambia. L’io è la lingua che usa, almeno in parte, e il suo trasferimento lo dota di una nuova componente che s’intreccia con quella di origine. Parlare lingue straniere vuol dire ossigenare quel rachitico concentrato di convinzioni che è l’io, perché lo mette difronte a panorami sconosciuti. I bambini bilingui lo usano come trucco per non farsi capire da chi non parla la loro seconda lingua, è un asso nella manica. Dopo tanti anni trascorsi all’estero, credo di aver assunto un certo modo di pensare non strettamente italiano. Questo mi permette di prendere le distanze, ma naturalmente comporta anche il rischio di non capire più una parte del mio paese e di non essere a mia volta capito. Uno si sente straniero a metà, sempre un po' nel mezzo, come su una frontiera che allo stesso tempo è straniera e casalinga sia da una parte che dall'altra.
Tornando alla Spagna, in Italia ci piace tanto questo termine, Movida, ma in realtà non sappiamo cosa sia stata e non sappiamo che, ormai, se pronunci quel nome in Spagna causi lunghi sbadigli. La Movida che seguì la morte del dittatore Franco non è esistita al di fuori di alcuni centri urbani, e sicuramente non esiste più in nessuno di essi. Quello che persiste è una agitata vita di strada, che si protrae anche di notte. Colpisce chi viene da fuori la quantità di persone in strada, a ogni ora. Ci sono bar al chiuso e all’aperto con prezzi accessibili, dove si può mangiare un boccone senza spendere come al ristorante. Il bar qui è un’istituzione, un passatempo e una mania. Non so se tu abbia avuto la stessa impressione in Sud America.
Magliani: Il mio Sud America è stato incauto. Provavamo a fare ciò che si faceva in Europa in quegli anni, inizi Ottanta, e per molto meno si spariva. Insomma le differenze erano evidenti, ma solo dei patentati disertori potevano non vederle, o non soppesarle. Mi piacerebbe dire in realtà che le vere differenze uno le sentiva quando tornava in Italia, quella specie di scienza del nostos che fa di un esule e di un disertore uno scienziato, e ci si accorgeva che l'unico fuoriuscito negli anni più ricchi dell'Italia, anni in cui avevano soldi tutti quanti, era quello lì che aveva vagato tra pampe e coste più o meno brave e arcipelaghi vari. Ricordo la volta in cui arrivai in treno a Ventimiglia e entrai in un bar e pagai il caffè con mille lire e di resto mi diedero degli assegni di una banca del Monferrato. Ci rimasi male. Era una perdita, potevo far tutto quello che volevo altrove, al freddo o al caldo, ma quell'Italia non la conoscevo, e nessuno me l'avrebbe mai più restituita. Come Castenet-le-Haut. Non mi restava che spendere i microassegni della banca del Monferrato e tornare a scappare, essere entrato in Italia da clandestino e farlo di nuovo da disertore.
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Alessandro Gianetti (Firenze, 1976) è uno scrittore e traduttore che vive da anni in Spagna. Ha pubblicato nel 2012 La Guida di Giuda, i 76 bar più temibili di Madrid (Miraggi Edizioni), nel 2018 Storie di baci (Robin Edizioni), ha partecipato nel 2019 al romanzo corale Il postino di Mozzi (Arkadia). Traduttore di Ricardo Piglia, Roberto Arlt e Federico García Lorca, collabora con l'editore Casimiro Libri alla collana Leggere l'arte, mentre dal 2019 coordina Xaimaca-Jarama, la collana di narrativa dedicata alla letteratura in lingua castigliana e catalana di Arkadia Editore. La ragazza andalusa è il suo primo romanzo (Arkadia, 2020).
Marino Magliani (Dolcedo, Imperia 1960) è uno scrittore e traduttore. Tra i suoi lavori L'estate dopo Marengo (Philobiblon, 2003); Quattro giorni per non morire (Sironi, 2006); Il collezionista di tempo (Sironi, 2007); Quella notte a Dolcedo (Longanesi, 2008 ); La tana degli alberibelli (Pagine sulla Liguria, 2009), vincitore del premio Frontiere-Biamonti; Soggiorno a Zeewijk (Amos editore, 2014); L’esilio dei moscerini danzanti giapponesi (Exorma, 2017), Prima che te lo dicano altri (Chiarelettere, 2018), La luna e i falò da Cesare Pavese (con Marco D'Aponte, Tunuè, 2021) .
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