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Giù per le scale, incontro alle porte

di Maria Rosaria Guarrera



Avevo male dappertutto, il mio corpo contratto non riusciva a trovare una posizione che mi desse un po’ di sollievo.

Le infermiere entrando annunciavano a voce alta che avrebbero preso la temperatura, regolavano il flusso delle flebo, cambiavano le medicazioni “se le faccio male lo dica, eh?”. Ma io non dicevo mai niente.

Ce n’era una che ogni volta che entrava nella mia stanza mi chiedeva sorridendo “Come va oggi?”, ma io giravo lo sguardo e guardavo dalla finestra il cielo grigio.

Quando finiva le sue incombenze si soffermava sempre un pochino, a volte mi poggiava la mano su un piede al di sopra della coperta e stava lì, in silenzio.


Un giorno mentre controllava l’innesto della flebo sul dorso della mia mano mi ha sfiorato il braccio con un dito. Mi è parsa una carezza, ma chissà, magari voleva solo accertarsi che non fosse gonfio.

Venivano delle persone a chiedermi cosa volessi mangiare, mi porgevano un foglio con la lista del giorno. Ma io non volevo niente, mi disgustava anche solo l’idea di ingerire del cibo, segnavo a caso delle crocette qui e là perché loro insistevano e io volevo che se ne andassero.


Una volta è venuta anche una donna in borghese, un po’ avanti negli anni, appesantita e con la tinta da rifare. Mi ha chiesto se avessi bisogno di aiuto, se volessi parlare.

Ho risposto stizzita, quella volta, affermando che non c’era niente da dire, che avevo già spiegato al medico del pronto soccorso che era un periodo in cui ero molto stanca e stressata e di conseguenza molto distratta, per questo ero caduta. E no, non avevo bisogno di niente. Poi ho voltato la testa verso la finestra.


La donna è rimasta ancora un attimo, in silenzio, poi con voce stanca mi ha detto: “come vuole, ma se ci ripensa le infermiere sanno come contattarmi”.

Cosa avrei dovuto dire? E poi mi sembrava mia madre, non potevo parlarle…Parlavano da sole le fratture, le ecchimosi, gli edemi, e il mio sguardo perso.


Una mattina l’infermiera del “come va oggi” è entrata trafelata. Non era in divisa, aveva ancora la borsetta a tracolla, le scarpe con un po’ di tacco, sottobraccio un libro, un bicchiere col caffè in mano. “Mi scusi”, ha detto, “la mia collega ha dovuto smontare prima dal turno e mi hanno avvisata all’ultimo momento, ora le tolgo la flebo e poi mi vado a cambiare”. Ha posato la borsa sulla sedia, il libro sul comodino, ha finito il caffè con un sorso e si è lavata le mani.


Si è avvicinata per chiudere il deflussore, profumava di sapone. Mi ha chiesto “Come va oggi?” e mi ha sorriso, sapeva che non avrei risposto. Poi ha preso le sue cose e se n’è andata.

Solo più tardi mi sono accorta che il libro era ancora lì, sul comodino. Ho allungato il braccio, l’ho preso.

Una copertina rosa, la foto di un vecchio frigo aperto. La donna che sbatteva nelle porte, romanzo.

Scritto da un uomo, figurati! – ho pensato- sarà la storia di una donna stupida, o imbranata.


Poi ho letto la quarta di copertina e ho capito due cose: la prima, che è solo una questione di latitudine, in Irlanda sbattono nelle porte, qui da noi cadiamo dalle scale. La seconda era che l’infermiera aveva capito, chissà, magari c’era passata anche lei…


Quando verso sera è tornata, prima che se ne andasse le ho parlato per la prima volta: “il libro”, le ho detto indicandolo “l’ha dimenticato”.

Si è scusata, mi ha chiesto se potesse riprenderlo a fine turno, ora doveva completare il giro.

Ho fatto un cenno d’assenso. Ma non è venuta quella sera, e il mattino dopo c’era un’altra infermiera.

L’ho ripreso in mano, l’ho sfogliato, ma non ho potuto leggerlo, non in quel momento. Il giorno dopo è entrata sorridendo come sempre e andandosene ha preso il libro, lasciando al suo posto un dèpliant.

Ed eccomi qui, davanti a lei.


Il vostro Centro ha un nome un po’ pretenzioso, non crede?

“E’ probabile, Marta, ma sono curiosa di sapere il suo punto di vista, mi dica perché”

“Antiviolenza.. lo chiamerei “di aiuto alle donne” piuttosto. La violenza è usare abitualmente la forza, l’intimidazione, l’aggressività, non credo si possano cambiare questi atteggiamenti in certe persone… si tratterebbe di cambiare la cultura ovunque nel mondo, è un progetto enorme ed ambizioso, appunto. Però credo che possiate aiutare le donne a non subirla più, ecco tutto.

E io sono pronta, credo.”




Il racconto Giù per le scale, incontro alle porte di Maria Rosaria Guarrera si è calssificato primo al concorso letterario e creativo, che pone al centro la figura dell'infermiera, della donna e della tutela dei diritti, indetto dall'OPI (Ordine delle Professioni Infermieristiche) di Genova e dall'Associazione culturale GAIA, in occasione della Giornata Internazionale della Donna.

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