di Cristina Castagnola
Titolo: Clark
Genere: Commedia, Drammatico, Thriller Nazionalità: Svezia Anno: 2022 Stagioni: 1 Episodi: 6 Durata: 60 minuti (media x episodio)
Distribuzione: Netflix
Attori: Bill Skarsgård, Alicia Agneson, Vilhelm Blomgren, Sandra Ilar, Kolbjörn Skarsgård, Hanna Björn, Peter Viitanen, Agnes Lindström Bolmgren, Isabelle Grill, Adam Lundgren
Regia: Jonas Akerlund
«Se non posso dare il meglio di me, allora darò il peggio» (‘Clark’, ep. 1).
Clark Olofsson è nientemeno che il più famoso rapinatore di banche della Svezia e colui che dà il nome a questa nuovissima serie Netflix del 2022. Inoltre, grazie alla sua figura, è stato possibile studiare la ‘sindrome di Stoccolma’: uno stato di dipendenza psicologica e/o affettiva che si manifesta in alcuni casi in vittime di violenza fisica o psicologica.
In questa miniserie da sei episodi di circa un’ora ciascuno, Clark ci lascia liberi di sentirci cattivi e di dare sfogo (figurativamente parlando) a tutti i nostri peggiori vizi. E lo fa senza un minimo di giudizio nei nostri confronti.
La storia, diretta da Jonas Åkerlund, si basa sulla sua autobiografia e su materiale giornalistico e giudiziario raccolto negli anni. Viene interpretata da un personaggio d’eccezione, più che avvezzo al mondo dei villains: Bill Skarsgård. L’attore svedese è globalmente conosciuto per aver dato un volto ai nostri peggiori incubi. Infatti, ha recitato la parte del pagliaccio Pennywise nei film ‘It’ e ‘It – Capitolo 2’, l’horror più “classico”del maestro del terrore Stephen King. Il volto spigoloso e lo sguardo enigmatico hanno dato una perfetta fisionomia al nostro folle personaggio (rendendolo anche molto simile al vero protagonista).
Le altre due figure veramente fondamentali della serie sono la madre, nonché unica fonte di gioia nella sua fanciullezza, Ingbritt Olofsson (Sandra Ilar), e l’ostinato poliziotto Tommy Lindström (Vilhelm Blomgren), costretto a girare l’intero mondo per recuperare il suo fuggitivo. Tutte le altre figure apparse nelle puntate e nella vita di Clark erano sempre e comunque passeggere, nessuno riusciva a stare dietro a quell’eccentrico vulcano.
Il primo pensiero che ho avuto iniziando questa serie è stato «forse non è proprio adatta per una famiglia». Dopo poco ho rettificato la mia idea e direttamente cancellato il forse. Non è per niente una serie da tutta la famiglia, ma è praticamente perfetta per un qualunque adolescente o adulto che voglia evadere dalla sua routine.
Com’è giusto che sia, la storia è stata ingigantita e romanzata, tuttavia in mezzo agli infiniti eccessi che caratterizzano la sua esistenza, il nostro protagonista nasconde un’infanzia fatta di abusi da parte del padre.
Mano a mano che scorrono gli episodi, lo spettatore potrebbe essere indotto a pensare che l’attaccamento di Clark nei confronti del genere femminile sia dovuto alla figura di sua madre che, semplicemente cercando di salvare il suo bambino, gli ha trasmesso un senso di protezione mentre si trova al suo fianco. L’amore per le donne e le rapine sono probabilmente la forma più rapida che ha di uscire dai suoi pensieri tossici.
Spesso si dice che nelle vite dei criminali ci sia stato un qualche trauma che li ha portati a essere quello che sono. Ciò li rende umani e vittime loro stessi, sebbene non abbiano preso la strada migliore (tuttavia più difficile) per uscirne. Clark non è da meno, a mio avviso: è un carismatico delinquente, con tutti i vizi del mondo, e con alle spalle vari drammatici racconti che evita in ogni modo di dover tirare fuori.
Guardando alla parte più tecnica della realizzazione della serie, si sbroglia come un flashback raccontato direttamente dal personaggio. Le scene vengono realizzate in parte in bianco e nero, in parte a colori, a seconda delle necessità del filone narrativo. Creano poi dei (in questo caso falsi) notiziari e prime pagine di testate giornalistiche che riportano le ‘prodezze’ del rapinatore. Il tutto viene orchestrato in modo da renderlo più veritiero possibile al pubblico, sebbene sia «basato su verità e bugie» (dalla serie).
Come succede agli altri personaggi, si è naturalmente portati a ‘tifare’ per il protagonista. Il suo modo di porsi, provocante con le ragazze e da eroe per i ragazzi, lo rende davvero il perfetto esemplare della sindrome di Stoccolma. Infatti, nei vari episodi, le persone che seguono le sue ‘avventure’, lo acclamano come una star del cinema.
L’evento per cui è conosciuto, la rapina di Normalmstorg nel 1973 (da cui nasce l’espressione per la sindrome), accrebbe il suo essere megalomane e la voglia di continuare ad alimentare questa fama. Clark si trasforma in un vero e proprio strumento politico ed è totalmente consapevole di questo potere. Più di una volta, per l’appunto, vedremo spuntare fuori questioni politiche dalle sue parole. È quasi buffo quindi che abbia associato il suo nome a quello di Clark Kent (alias Superman), essendo praticamente la sua antitesi. Eppure, per le persone comuni è diventato anche lui un vero supereroe, non volutamente alimentato dalla ‘propaganda’ dei giornali.
Si potrebbe pensare che sia solo un egocentrico sprovveduto? Forse, eppure nel 1983 (contro ogni previsione) si laureò in giornalismo.
Dopo diciassette evasioni e infiniti anni di carcere, la fatidica domanda: «Come ci si sente a essere Clark Olofsson?»
«Come se avessi appena iniziato».
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