di Cristina Castagnola
Titolo: As We See It
Genere: Comedy
Stagioni: 1
Episodi: 8 episodi
Durata episodi: 30 min.
Produttore: Jason Katims, Jeni Mulein, Danna Stern
Regia: Jesse Peretz
Distributore: Amazon Prime
Attori principali: Rick Glassman, Albert Rutecki, Sue Ann Pien, Sosie Bacon, Joe Mantegna, Jennifer Lyons, Naomi Rubin, Tal Anderson, Angela Fornero, David Futernick
"As We See It", o "Te lo racconto io" in italiano, è una nuova serie fresca di quest’anno, approdata il 21gennaiosulla piattaforma streaming di Amazon Prime Video. Basata su un format israeliano creato da Dana Idisis e Yuval Shafferman (due tra gli executive producer) e ideata da Jason Katims (già conosciuto per ‘Parenthood’ e ‘Friday Night Lights’), viene affidata al regista Jesse Peretz che comincia a dispiegare la storia in una stagione da 8 episodi di circa 35 minuti ciascuno. Come vedremo più avanti in questa recensione, si tratta di un racconto delicato che si deve prendere tutto il tempo del mondo per essere compreso, di conseguenza troveremo sicuramente in futuro una seconda stagione che porterà avanti le vite dei nostri personaggi.
I tre protagonisti sono giovani adulti che si stanno piano piano affacciando al mondo oltre la loro porta di casa; un grande passo che presto o tardi tutti siamo ‘costretti’ a compiere. Harrison (Albert Rutecki), Jack (Rick Glassman) e Violet (Sue Ann Pien), tuttavia, hanno un ostacolo in più che rallenta (ma di sicuro non ferma) il loro spiccare il volo: tutti e tre soffrono di autismo, in forme diverse e con reazioni diverse alle varie esperienze che si trovano ad affrontare nel corso delle puntate. Gli attori che interpretano questo trio si identificano loro stessi come individui nello spettro dell’autismo.
L’unico ‘onesto’ collegamento con il mondo esterno che li tratta come persone e non come malati, è la loro terapista Mandy (Sosie Bacon). Jack è sicuramente il più diffidente dei tre e spesso ha difficoltà ad interagire con le altre persone, ma ha una grande intelligenza che riesce ad esprimere nel suo lavoro. Harrison non vuole per nessun motivo uscire dal proprio palazzo poiché turbato dai rumori della città e i pochi legami che riesce ad instaurare non sempre portano gioia nella sua vita. Infine, Violet è alla disperata ricerca di un modo per ‘essere normale’, finendo spesso per cacciarsi nei guai. Eppure Mandy, con poche parole, riesce sempre a riportarli sul binario giusto senza farli sentire stupidi o sbagliati, nonostante le piccole o grandi difficoltà che il destino pone davanti ai loro passi. I tre vivono insieme in un appartamento poiché le famiglie stanno cercando di renderli più indipendenti e, infatti, è praticamente inevitabile che le loro vite siano piene di inciampi e ripartenze come quelle di tutti noi. Tra ironia e drammaticità, vediamo come si affrontano le giornate nonostante pregiudizi e diffidenza delle altre persone.
Pur non avendo mai sperimentato con mano una situazione simile, attraverso la serie possiamo renderci conto di come ci siano momenti difficili per entrambe le parti: i ragazzi soffrono della loro situazione e a volte non capiscono le decisioni o i piccoli aiuti che i loro parenti e Mandy cercano di dar loro.
«Non puoi tenerla in una gabbia per sempre»
(Mandy, episodio 7, ‘Rivelare’).
D’altra parte, le famiglie li trattano ancora come bambini e non si rendono conto dell’importanza per loro di venire considerati già adulti. Questo capita sia ai genitori di Harrison, sia al padre di Jack, Lou (Joe Mantegna), sia al fratello iperprotettivo di Violet, Van (Chris Pang). Da entrambi i lati, probabilmente, si cerca di fare il meglio per l’altra persona e si finisce per non comprendersi, come capita in qualunque nucleo familiare al mondo.
Mandy è sempre molto paziente e in ogni piccolo gesto suo e dalle reazioni dei tre si capiscono gli enormi progressi che stanno facendo insieme. Lei stessa però deve sdoppiare la propria vita tra lavoro e amori complicati e tenta di superare da sola i problemi privati che non le fanno più percepire tanto sicuro il proprio futuro. La risposta è nell’appartamento con Jack, Violet e Harrison, o da qualche altra parte con il suo ragazzo lavorando per un laboratorio medico?
In ogni puntata, il titolo mette in risalto la parola we con colori diversi. È un’utile trovata per spingere lo spettatore a focalizzarsi totalmente sui ragazzi, poiché l’idea è mostrarci come loro percepiscono il mondo attorno a sé e come loro intendono raccontarcelo. Sebbene (quasi) sempre riescano a convivere con la malattia, il bisogno di nasconderla alle altre persone e risultare costantemente ‘normali’ è incessante nella mente, non rendendosi conto che le vite che considerano ordinarie non hanno nulla di diverso da ciò che Mandy sta cercando di insegnare loro a piccole dosi. Stanno, in ogni modo, vivendo a pieno, senza rendersene nemmeno conto.
Questa non è la prima serie che presenta al pubblico il mondo dell’autismo: ‘Atypical’, ‘The Good Doctor’, anche Sheldon Cooper, uno dei protagonisti di ‘The Big Bang Theory’, presentano modelli comportamentali di autismo, eppure resta una delle serie più amate dalle persone di tutte le età. Un mondo non ordinario anche nella tv magari può essere quello che può aiutarci a farci diventare sempre più inclusivi.
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