di Cristina Castagnola
Titolo: Alto Mare
Genere: Crimine, Drammatico, Mistero
Nazionalità: Spagna
Anno: 2018
Stagioni: 3
Episodi: 22
Durata: 45 minuti (media x episodio)
Produzione: Netflix, Bambú Producciones
Tutti conosciamo Agatha Christie. Per chi si fosse perso nella storia letteraria del Novecento, stiamo parlando di una scrittrice di romanzi di fama mondiale, nominata come assoluta regina del giallo e, più precisamente, madre di personaggi come Hercule Poirot e Miss Marple. Per alcuni di questi sono stati realizzati diversi film e serie televisive molto interessanti.
Chiacchierando con la mia di madre, non una grande appassionata di serie e libri gialli a causa della loro “brutalità”, sono venuta a conoscenza della sua passione per questa autrice proprio perché si tratta di storie, a suo dire, non eccessivamente macabre o paurose. Dopo la visione della serie “Alto Mare”, posso pienamente sostenere la sua appartenenza a quell’élite di racconti che vengono da lei definiti come “serie investigative accettabili da vedere”. Andiamo a scoprire il “movente” di questa affermazione.
Si tratta di una serie spagnola (“Alta Mar”) realizzata da Bambù Producciones (già ideatrice de “Le ragazze del centralino”, 2017) sulla piattaforma streaming Netflix. Uscita nel 2019 e girata da Carlos Sedes e Lino Escalera, conta due stagioni da 8 episodi, mentre la terza ne riporta solamente 6. Ciascuno ha una durata di circa 40 minuti. Inizialmente avevano pensato anche ad una quarta stagione, che pare sia andata in fumo un po’ per non allungare troppo il brodo della storia e un po’ perché Netflix ha in cantiere altri progetti con Bambù Producciones.
Siamo alla fine degli anni ’40, si è appena conclusa la Seconda Guerra Mondiale e il transatlantico “Bárbara de Braganza” sta salpando dalla Spagna in direzione di Rio de Janeiro, Brasile. La serie si apre con le memorie del comandante della nave che va ad anticipare l’assassinio di tre persone dopo solamente dieci giorni dall’inizio della traversata, per poi proseguire in stile flashback come una storia dentro la storia. Già visto e già sentito come incipit? Forse si o forse no, ma purtroppo e per fortuna la curiosità umana non passa mai di moda.
Le due protagoniste sono le sorelle Villanueva: la maggiore Carolina (Alejandra Onieva) è promessa sposa dell’armatore della nave, Fernando (Eloy Azorín), mentre Eva (Ivana Baquero) è una scrittrice emergente che si sta dirigendo verso quella nuova terra in cerca del suo futuro, come molti altri in viaggio con loro. Ed ecco che proprio pochi istanti prima di salire a bordo entra in scena il fattore scatenante della crisi nelle vite delle due giovani, colei che creerà il famoso conflitto della storia: una ragazza disperata, Luisa (Manuela Vellés), si butta in mezzo alla strada e supplica loro di farla salire clandestinamente sulla nave. Da quel momento, niente e nessuno saranno più quello che ci si aspetta che siano.
Tra le varie sottotrame che si sbrogliano lungo tutta la prima stagione, amori e delitti la fanno da assoluti padroni: si percepisce immediatamente un complotto alle spalle delle due sorelle. Eva poi si avvicinerà al giovane primo ufficiale Nicolás Vázquez (Jon Kortajarena), unico e vero alleato di tutta la nave, che come lei vuole solamente tornare alla propria semplice vita. Come da copione, anche lui ha un passato molto profondo, del quale probabilmente non sospettiamo: sarà un bel colpo sia per la ragazza che per lo spettatore ed aprirà delle questioni morali che non vorremmo minimamente trovarci a dover risolvere.
Il finale ha fin troppe questioni lasciate in sospeso e ci rimanda gentilmente alla seconda e terza parte se si vuole arrivare a comprendere tutte le bugie dette fino a quel momento.
Colonna sonora dal sentore spagnolo e abiti semplici ma coerenti con la propria epoca fanno da contorno ai misteri della Bárbara de Braganza, creando appunto l’atmosfera di questa“mono-ambientazione”dove si svolge l’intero intreccio.
ALERT. Piccolo spoiler, che in realtà non svela nulla di eclatante: uno dei tanti moventi potrebbe avere a che fare con il Nazismo e i campi di concentramento? Siamo nel dopoguerra, avendo ancora oggi ferite aperte, figuriamoci se una serie ambientata in quel periodo può fare a meno di parlarne. Direi che sia quasi scontata una risposta affermativa quindi, vista l’enorme drammaticità di quel momento storico. Sebbene sia finita, in un modo o nell’altro, i fantasmi della guerra continuano a perseguitare i personaggi.
Per quanto mi sia piaciuta - non dico che non manchino i classici cliché polizieschi, e (magari) da telenovela, tipici di serie come“Little Murders by Agatha Christie” (“Les Petits Meurtres d’Agatha Christie”, 2009) che appunto “Alto Mare” ricorda moltissimo - a mio modesto parere questi sono così caratteristici di questo genere che devono venire proprio sfruttati fino in fondo, perché rendono il prodotto immediatamente riconoscibile al pubblico e lo inseriscono quindi in una categoria di serie, potremmo dire, senza tempo.
Mi permetto una piccola anticipazione travestita da aforisma della tanto citata scrittrice, che però (sottolineo) sembra riassumere la situazione: “Ogni omicida è probabilmente il vecchio amico di qualcuno”.
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