GENOVA BOOKPOP FESTIVAL:
3 domande sul Divenire
In un'attualità di profondi cambiamenti e di rapida trasformazione, Genova BookPop Festival - che si terrà nel capoluogo ligure dal 24 al 27 ottobre - si apre quest'anno al Divenire e si propone di indagarne le forme, i dubbi e i dissidi che porta con sé, le reazioni che provoca. Ma anche le scoperte, le opportunità, i nuovi orizzonti. Una pluralità di sguardi per trovare un percorso comune verso obiettivi comuni.
Per prepararci ad accogliere gli ospiti che per quattro giorni ci condurranno attraverso questo tema, Themeltinpop ha posto loro tre domande sul Divenire.
Fabio Geda è nato nel 1972 a Torino, dove vive. Dopo una laurea in Scienze della comunicazione ha lavorato per un decennio come educatore dei servizi sociali, occupandosi per diversi anni di disagio minorile. Scrive su “Linus” e su “La Stampa” circa i temi del crescere e dell’educare. Collabora stabilmente con la Scuola Holden, il Circolo dei Lettori e il Salone del libro di Torino. Ha pubblicato i romanzi Per il resto del viaggio ho sparato agli indiani (Instar Libri, 2007; Feltrinelli, 2009, selezionato per il Premio Strega e vincitore, in Francia, del Prix Jean Monnet des Jeunes Européens), L’esatta sequenza dei gesti (Instar Libri, 2008, vincitore del Premio Grinzane Cavour e del Premio dei Lettori di Lucca), Nel mare ci sono i coccodrilli (Baldini & Castoldi, 2010), L'estate alla fine del secolo (Baldini & Castoldi, 2011), Se la vita che salvi è la tua (Einaudi, 2014), Anime scalze (Einaudi, 2017), Una domenica (Einaudi, 2019), Storia di un figlio (Baldini+Castoldi (con Enaiatollah Akbari), 2020) La scomparsa delle farfalle (Einaudi, 2023). Nel 2024 esce per Feltrinelli Song of myself.
L'adolescenza è un periodo di transizione tra l'infanzia e l'età adulta, caratterizzato da profondi cambiamenti fisici, psicologici e sociali. In che modo il percorso di scoperta e affermazione della propria identità rappresenta un momento cruciale di crescita e trasformazione, non solo a livello individuale, ma anche sociale?
Intanto diciamo di cosa si parla quando si parla di adolescenza. L’adolescenza ha un inizio biologico, l’impregnazione ormonale del cervello che fa esplodere la pubertà, e ha una fine in parte biologica — il ricablaggio del cervello iniziato con la pubertà termina superati i vent’anni — e in parte culturale, perché andare in guerra a sedici anni o essere ancora a casa dei genitori a trenta sono, ovviamente, condizioni che incidono sulla percezione di sé.
Detto ciò, quel periodo che siamo soliti chiamare adolescenza è una fase di sviluppo contrassegnata da cambiamenti fisici, emotivi, cognitivi e sociali che influenzano il modo in cui ragazzi e ragazze si percepiscono e si rapportano con il mondo circostante. Anzitutto, si sviluppa una crescente consapevolezza del sé, che li porta a domandarsi chi sono e cosa vogliono diventare. Questa ricerca fa sì che sperimentino ruoli e comportamenti alternativi, per capire quale si adatti meglio alla propria personalità. A livello sociale il gruppo dei pari, i coetanei, diventa il luogo principale di rispecchiamento e di confronto, l’ambiente dove confrontarsi con modelli esterni alla famiglia da cui, possibilmente, ottenere approvazione, riconoscimento e senso di appartenenza. Ovviamente, l’influenza del gruppo può essere positiva, contribuendo alla costruzione di un'identità sicura e aperta, ma anche negativa, se induce comportamenti che non corrispondono ai veri desideri dell'adolescente.
Le reti sociali hanno amplificato questo processo. Siamo tutti, adolescenti e adulti, esposti a una miriade di modelli di identità e comportamenti, a cui possiamo ispirarci o contro cui possiamo ribellarci, con impatti significativi sulla nostra autopercezione. Questo aspetto è cruciale perché la rappresentazione sociale del sé diventa sempre più importante per gli adolescenti, con la pressione a conformarsi o distinguersi rispetto agli standard della società. Il fatto è che il processo di costruzione dell'identità nell'adolescenza non è solo una questione individuale, intima, famigliare, ma ha un impatto sociale significativo. Gli adolescenti, con il loro desiderio di cambiamento e di innovazione, sfidano le norme consolidate contribuendo alle trasformazioni culturali, sociali e politiche. I movimenti giovanili, le sottoculture e l'attivismo sono spesso alimentati dal bisogno di affermare una nuova identità collettiva che rappresenti meglio le aspirazioni e i valori di chi, in quel preciso momento, attraversa l’adolescenza. Il compito della comunità educante allargata (ossia noi adulti, tutti e tutte, genitori, nonni, zii, vicini di casa, docenti, istituzioni) è quello di monitorare e accompagnare questo processo.
In un mondo in continua evoluzione, come percepiamo il concetto di divenire? È una costante inevitabile o una sfida da affrontare? In che modo il divenire influenza la nostra identità, le nostre relazioni e la nostra visione del futuro?
Credo che qui il problema sia legato a come il futuro viene raccontato dal discorso pubblico: ossia, oggi, più come una minaccia che come una promessa. La percezione del futuro come una minaccia (anziché come una promessa, come veniva narrato a me negli anni Ottanta e Novanta, quando ero io a essere adolescente) rappresenta un cambiamento profondo che incide sul processo di crescita. Tradizionalmente, il futuro è stato visto come una fase di realizzazione personale, prosperità e miglioramento delle condizioni di vita. Oggi, invece, l’ansia che vediamo circolare tra i giovani, un’ansia che poi influenza anche le tendenze reazionarie e conservatrici della politica, è dovuta in gran parte al fatto che si trovano ad affrontare incertezze globali come la crisi climatica o la trasformazione del mondo del lavoro avendo accanto degli adulti fragili di cui tendenzialmente non si fidano, ma che hanno imparato ad amare, e che quindi faticano, simbolicamente, a uccidere. Insomma, questa è una lettura mia, e quindi ci sarebbe da discuterne ampiamente. Ma sta di fatto che il contesto di precarietà e la conseguente narrazione minacciosa del futuro, sommate alla fragilità del modello adulto che proponiamo, hanno ripercussioni rilevanti sia a livello psicologico che a livello sociale e politico, influenzando la costruzione dell’identità degli adolescenti e la loro visione del mondo come cittadini e cittadine.
Nel percorso personale, la scelta tra lasciare e trattenere è una decisione inevitabile ma a volte profondamente combattuta. Nella storia del tuo divenire come individuo, in che misura riesci a lasciare andare e in che misura finisci per trattenere?
Io, di mio, sono sempre stato molto bravo a lasciare andare — forse anche troppo. Nel senso che proprio ora, superati i cinquant’anni, apprezzo ciò che sono riuscito a trattenere. Penso ad esempio alle relazioni con le persone, agli amici: oggi sono particolarmente felice di avere ancora qualche amico o qualche amica legati alla mia adolescenza, relazioni che affondano le proprie radici in un passato che, insomma, inizia a essere abbastanza remoto. Detto ciò, ho sempre pensato alla vita, come dite voi nella domanda, come a un divenire, a una trasformazione continua. Mi è sempre piaciuto viaggiare leggero. Un educatore che per me è stato importante quanto ero ragazzino, un mio capo scout, mi diceva sempre che tutto ciò che è importante nella vita dovrebbe stare dentro uno zaino, così da poterlo fare quando serve e via, ripartire. Ecco, io sono stato abbastanza fedele a questa visione, nel corso della mia vita.
L'appuntamento di Genova BookPop Festival 2024 con Fabio Geda sarà domenica 27 ottobre alle ore 17.30 ai Giardini Luzzati - Spazio Comune di Genova.
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