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Cronache di un’universitaria. Le vacanze dei supereroi



Ph. Antonella Grandicelli

di Daphne Squarzoni



La pioggia cade sul tetto di vetro dell’università in un incessante ticchettio che annuncia l’autunno in arrivo. Settembre è arrivato a tradimento, tanto inatteso quanto aspettato, assieme alle porte a vetri che si riaprono e le matricole che affollano l’ateneo.

«Mi scusi» mi chiama l’ennesimo ragazzo «Dove posso trovare il corso di orientamento?» Direi che questa è la domanda che ho sentito più spesso oggi. «Ha sbagliato edificio» dico per l’ennesima volta «Deve uscire, girare a destra, passare nella stradina accanto alla sbarra d’accesso e suonare alla porta davanti ai cassonetti. Quello è il 16B, questo invece è il 14 della via» spiego.

L’ennesima matricola mi guarda con occhi vacui appuntando tutto.

«Oh» dice «Ok». Se ne va.

A breve ne arriverà un altro con la stessa domanda sul viso spaesato di chi sta per cominciare questa nuova avventura. In tutto questo non ho idea di cosa sia l’orientamento.


Il mio primo giorno di università è stato il primo giorno di lezione e l’unica cosa che dovevo capire era dove stesse l’aula che cercavo. Tutto qui. Tutto sommato è stato facile. Adesso i ragazzi entrano sperduti e accompagnati dai genitori. In uno dei libri che sto leggendo si dice che i ragazzi di oggi sono un po’ troppo assistiti dai genitori, così tanto che poi non riescono ad emanciparsi. Se dovessi basarmi solo su questa mattina direi che è così: le matricole si sono presentate sempre corredate di genitori che si sono rivolti a me invece del figlio: «Stiamo cercando il corso d’orientamento».


Guardo l’orologio che oggi ha deciso di andare a rilento. Non vedo l’ora che finisca il primo turno, quello alla portineria principale, per andare al tavolo secondario, quello dove non devo ripetere ogni 10 minuti che l’indirizzo che cercano non è questo. Sopra di me la pioggia continua a cadere e io so che questo è solo l’inizio di un nuovo anno scolastico. Un anno che per me sarà un’ “attesa di laurea” come sta scritto sulla domanda appositamente compilata. Attesa. Come se dovessi banalmente stare lì, ferma a non far nulla mentre la tesi si compila da sola. Magari! La verità è che c’è tutto un lavoro da fare e io sono stanca prima ancora di cominciare. Agosto è quasi finito e la mia sensazione è che mi sia passato addosso come un tir. Agosto è passato e mi ha completamente schiacciata per terra frantumandomi le ossa. Sono stanca. Stanca di una stanchezza che è fisica solo in minima parte. Sono stanca di tutto: stanca degli articoli, stanca di lavorare, stanca di studiare, di pensare alla tesi, di sentire le persone, di mantenere i contatti, di vedere gente. Sono stanca. E quando sono così stanca comincio a mettere tutto in discussione, a chiedermi cosa sto facendo per chi e perché.


Sempre nel libro che leggo si dice che i giovani adulti sono portatori di una nuova visione del mondo e che vanno in crisi perché gli adulti non permettono loro di esprimersi. Si dice che, rispetto agli adulti che ci circondano, noi siamo più attenti alla nostra salute mentale, al nostro essere o meno felici. È un po’ come se prima fossero cresciuti con questo mito del sacrificio, del lavorare sodo e del lavoro come unico riscatto. Ai giovani rimproverano di non avere quest’idea, di rifiutarsi di sacrificarsi e di non accettare qualsiasi condizione. Ci rimproverano di volere una pausa ogni tanto. Io voglio una pausa. Voglio una pausa dai doveri, dagli impegni, dal lavoro. Una piccola pausa per respirare e ripartire con le energie cariche. Questo ultimo mese d’estate mi ha trascinata sotto un tir e ho bisogno di staccare.


Io e pure Raf che da un paio di mesi è tutto preso dalla sua musica e dal suo lavoro di guida turistica. Nell’ultimo mese ha lavorato praticamente tutti i giorni, weekend inclusi. Il risultato è che ci siamo visti poco e niente, sempre di corsa tra un bus da non perdere e il turno al lavoro che deve cominciare. E adesso abbiamo bisogno di una pausa. Per tutta l’estate non ci siamo mai concessi una vacanza e oggi finalmente, dopo il mio turno in università, ce ne andremo cinque giorni in montagna. Cinque giorni in cui stare insieme come si deve, in cui parlare un po’, riscoprirci un po’, e rilassarci. Cinque giorni in cui staccare il cellulare, smettere di pensare alla tesi e stare solamente bene. Cinque giorni per rimettere in ordine tutti i pensieri che in questo mese ho accantonata, troppo occupata a fare cose per prendermi cura di me stessa. L’orologio scorre a rilento mentre aspetto le 20:30 per andare in vacanza.


«Mi scusi» mi chiama l’ennesima madre apprensiva «Stiamo cercando il corso di orientamento».

«Ha sbagliato edificio, signora. Deve uscire, svoltare a destra, prendere la stradina accanto alla sbarra rossa del parcheggio e suonare alla porta davanti ai cassonetti» recito.

La donna annuisce e si porta al seguito la figlia. Rientrano poco dopo e la donna mi chiama da dietro il plexiglass: «Visto che piove e non abbiamo l’ombrello, non potremmo andare da quella parte?» mi domanda indicando un corridoio che si addentra nell’università.

«No signora, l’università di lettere e la scuola internazionale, dove si tiene il corso d’orientamento, sono edifici separati e indipendenti. Da quella parte non c’è nessuna porta». Soltanto un muro che, le assicuro, non è affatto come quello di Harry Potter e se ci si schianta addosso non apparirà magicamente nell’edificio accanto.

La donna annuisce poco convinta. «Oh. Ok» dice «Buona giornata».

Mi lascio cadere sulla sedia girevole della portineria e sospiro: ho davvero bisogno di una vacanza.

 


«Ultimamente solo episodi poco allegri», scherza Raf sul divano rosso della casa in montagna in cui ci siamo rifugiati. Gli faccio la linguaccia.

«Vedrai che dopo questi giorni starò decisamente meglio e sarò più benevola anche con gli episodi» dico.

Raf sorride. «Speriamo, se ti lamenti soltanto, poi la gente non ti legge più».

«Non so… Alcune persone hanno bisogno che si dia voce al loro dolore, che si trovino le parole giuste per dire che non ce la fanno. In questo episodio volevo soltanto dire a tutte le persone che hanno bisogno di una pausa che va bene così. Alle volte dobbiamo concederci di essere stanchi, di aver bisogno di riposo, e di ricaricare le energie. Altrimenti arriviamo al limite, ci consumiamo e stiamo male».

Raf mi sorride. «Tranne me. Io sono un super uomo e non ho mai bisogno di pause». Rido. «Infatti non ti sei addormentato appena toccato il cuscino perché eri stravolto».

Raf bofonchia qualcosa offeso, io gli sorrido e prima di stampargli un bacio sulla guancia e sentenziare: «Anche i supereroi hanno bisogno di una vacanza».



 


Daphne Squarzoni, nata nel 1999, laureata in Studi Storici e Filologici, si sta specializzando in Filologia e Critica Letteraria. Dal 2019 porta avanti numerosi progetti didattici nelle scuole

elementari insieme all'associazione Siderea e alla casa editrice Isenzatregua, con cui collabora attivamente e con cui ha pubblicato nel 2022 Piccolo diario della guerra europea del 1914-1915 e nel 2023 Epsodi.



 

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