di Daphne Squarzoni
Sono sull’ennesimo autobus della mia vita. Fuori dal finestrino tutto è avvolto dalla coperta nera della notte e accanto a me il mio fido compagno di viaggio: uno zaino grigio sempre troppo pesante. Alzo il volume della musica e appoggio il viso sulla mano mentre la mia corona d’alloro dondola sopra il mio zaino. Sorrido appena pensando che un vecchio zaino rotto incoronato d’alloro su un autobus qualsiasi è l’unica vera fine per questa storia.
L’unica vera fine per questi cinque anni in cui i mezzi pubblici sono stati i miei migliori amici e la mia vita è rimasta compressa in questo zaino più di quanto chiunque possa immaginare. L’unica vera fine dopo le bolle (al posto dei coriandoli), i brindisi, la proclamazione, i fiori e tutto il resto. Quando la confusione si spegne rimangono i gesti tipici di questi cinque anni: passare il tesserino e sedersi sul bus, prendere a braccetto Emma e rintanarci nei bagni a spettegolare, dare il tormento a Lorenzo perché è il nostro modo di volergli bene, accamparci ai tavoli del piano terra con Valerio e con Federico mentre attorno a noi l’università brulica di vita e poi Raf che mi viene incontro, mi prende per mano e si occupa di me. Tutto questo è così tipico, così solito e così amplificato nel giorno della laurea.
Questa mattina mi sono svegliata e non ero nemmeno agitata, troppo concentrata come ero a pensare a Lorenzo e alla sua di laurea, qualche ora prima della mia. Il treno era in ritardo, altra cosa tipica di questi cinque anni, e mi sono persa la sua discussione. Raf mi ha seguita per i corridoi e ci siamo fermati davanti alla 110 in attesa di Lorenzo. Lui è uscito, impeccabile nella sua giacca blu, con la tesi coordinata tra le mani. «Allora?» ho chiesto a Emma. «È stato bravissimo». Ho sorriso «Non avevo dubbi». E poi la proclamazione, il 110 e Lode, e la fascia da sindaco (vecchio meme tra noi) mentre facciamo le foto di rito e spariamo bolle perché «i coriandoli devono pulirli donne sottopagate e inquinano quindi anche no». Ho guardato Lorenzo esultare con la sua corona d’alloro mentre il nostro percorso inesorabilmente si chiudeva dandoci il benservito.
«E ora?» ho chiesto «Caffettino al bar?».
Ci siamo incamminati ed il bar è sempre quello, con i baristi che ci conoscono e noi che lo occupiamo con tutta la nostra allegria. «Ma oggi non si laurea anche lei?» mi ha domandato il mio relatore sorpreso di trovarmi spensierata in un bar con la fotocamera al collo «Sì» ho detto «Ma sono in incognito. Poi tolgo la fotocamera e sono pronta». Ha riso e io con lui. Abbiamo bevuto il caffè tutti insieme come sempre.
«Bagno?» ha proposto Emma mentre l’orologio girava spingendomi verso il mio turno. «Andiamo». Siamo entrate a braccetto come altre mille volte in questi cinque anni e i nostri piedi sapevano la strada meglio di noi.
«Aspetta», mi ha fermato la mia inseparabile compagna di corso, «Ho una cosa per te» ha aggiunto tirando fuori un pensierino dallo zaino. «Oro come il sole, azzurro come te e poi le margherite» ha riassunto. Non c’era bisogno di dire nient’altro perché tutti i simboli e i significati li abbiamo custoditi e imparati in questi cinque anni. L’ho abbracciata davanti al bagno ed è stato un momento al gusto di perfezione. «Avrei voluto dartelo in un posto speciale» ha detto Emma «Ma lo è: il nostro posto. Quello in cui abbiamo spettegolato, riso, chiacchierato, perso tempo e tutto il resto». E chissà quante altre amicizie e quante altre storie avrebbero da raccontare questi bagni se solo potessero parlare.
Ai tavoli ci aspettavano i ragazzi, Lorenzo, Federico, Valerio e Raf mentre dalle porte a vetri entravano i miei genitori e mia sorella (meravigliosamente a suo agio con i jeans strappati e una t-shirt ironica in mezzo a gente tirata a lucido). Raf era più agitato di me, seduto sulla sedia mentre mi ordinava perentorio di ripassare la scaletta dell’esame. Il mio relatore ha fatto capolino in anticipo dalla porta e mi ha chiamata per entrare. Traballante sui tacchi sono entrata in aula 005, l’aula più grande di tutto il dipartimento, l’aula dove ho conosciuto Raf. Mi sono seduta davanti alla commissione ed era tutto nuovo e tutto solito come può esserlo soltanto una laurea. «Una tesi sulla crisi e la scrittura» ha proclamato la presidente di commissione invitandomi a parlare. Ho sorriso prima di cominciare la mia esposizione. La scaletta è andata in fumo in due secondi e, come sempre, ho improvvisato mentre Raf alle mie spalle si torceva le mani preoccupato. Accanto a lui Emma e Lorenzo ridevano sotto i baffi certi che, dopo cinque anni senza preparare nessun discorso, non avrei cambiato regime nemmeno alla mia laurea. «Come sempre sei un fiume in piena» ha commentato la correlatrice sorridendo rassegnata «Lo posso dire perché ormai è tanto che ci conosciamo» ha spiegato alla commissione. Ho sorriso, di nuovo, pensando a tutto il sottotesto del suo commento, a tutti gli esami e ai «Signorina lei è troppo entusiasta». Colpevole vostro onore, e, per la verità, non ho intenzione di cambiare. E poi è finito tutto, veloce e lento al tempo stesso.
Mi hanno mandata fuori mentre si consultavano e in un batter d’occhio c’erano Emma e Lorenzo al mio fianco come è stato per ogni esame di questi cinque anni. «Per i poteri conferitimi dalla legge e dal magnifico rettore, la proclamo Dottoressa magistrale in Filologia e Critica letteraria» ha proclamato la presidente di commissione snocciolando il voto e tutto il resto mentre io prestavo attenzione alla sua parlata marcatamente toscana più che alle sue parole. E poi foto, bolle, fiori, la corona d’alloro troppo grande che è diventata subito una collana d’alloro e margherite, mia sorella con un mazzo di cartoleria perché è l’unica persona al mondo che potrebbe progettare una cosa così bella e personale per me. Raf che stappa il sidro di mele perché lo spumante non mi piace, e tutti i sorrisi e gli abbracci mentre mi mettono in mano uno spara-bolle (gentile concessione di mia sorella geniale) che mi ha entusiasmata più della lode.
Ed è finita così: con una pergamena che stavo scordando di prendere perché dall’università ho ricevuto cose più importanti di un pezzo di carta, con Emma e Lorenzo che c’erano all’inizio e ci sono stati alla fine, con gli amici che ho incontrato lungo questa strada, con mia sorella che è sempre stata l’altra metà del mio cervello anche quando le nostre strade si sono separate, con Raf che ho conosciuto in università e spero mi rimarrà accanto per sempre. Ci sarebbero così tante cose da dire, da ricordare, da raccontare e davanti a questa fine non trovo le parole. E dopo tutta questa festa e tutta questa allegria rimango io sull’autobus con il mio zaino, come se non fosse tutto finito, come se questa storia potesse ancora continuare. Il telefono vibra «Che farai domani ora che non sei più una studentessa?» mi scrivono. È una bella domanda. «Scriverò l’ultimo episodio delle Cronache di un’universitaria».
«Non è ancora l’ultimo» mi fa presente Raf mentre camminiamo mano nella mano in direzione festa di laurea di una nostra compagna di corso.
«Cioè?» domando perplessa.
«Ti manca la festa di laurea» mi sorride soddisfatto.
«Chissà» rido. «Intanto facciamo che è l’ultimo. Poi si vedrà» aggiungo.
Raf annuisce «E comunque – annuncia – sono fiero di te, dottorina».
Daphne Squarzoni, nata nel 1999, laureata in Studi Storici e Filologici, si sta specializzando in Filologia e Critica Letteraria. Dal 2019 porta avanti numerosi progetti didattici nelle scuole
elementari insieme all'associazione Siderea e alla casa editrice Isenzatregua, con cui collabora attivamente e con cui ha pubblicato nel 2022 Piccolo diario della guerra europea del 1914-1915 e nel 2023 Epsodi.
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