Una luce poco fa (Piccole occasioni di gioia quotidiana)
di Elena Nieddu
In questa estate così indecisa, le giornate sono tutte da interpretare. Il meteo riflette i pensieri variabili e non è semplice capire di cosa si abbia voglia. Succede, così, di finire una domenica pomeriggio di agosto fra molti turisti francesi, a osservare i tesori del Capitano d’Albertis, in uno dei musei più belli e interessanti della città in cui vivo, Genova. Tra fiori di loto millenari strappati alle sabbie dell’Egitto, sutra in lingua pali su foglie rigide, code di elefante usate come trofeo e carte giapponesi sottili come veli – il tutto ancora catalogato con una bella scrittura ottocentesca – spuntano gli agglomerati utopia dell’architetto Paolo Soleri: Cosanti e Arcosanti.
Le fotografie di Emanuele Piccardo e Filippo Romano, esposte al Museo delle Culture del Mondo al Castello d’Albertis nella mostra “Soleritown: visioni di un’utopia concreta”, ritraggono, sotto il sole spietato dell’Arizona, le forme del villaggio di Cosanti, nei sobborghi di Phoenix, e le volte slanciate di Arcosanti, nella Yavapai County: una città, quest’ultima, pensata per accogliere cinquemila persone dedite all’agricoltura e a un ideale di vita insieme lontano dagli stilemi – o dalle gabbie – di ciò che oggi consideriamo “normale”. Guardando le arcate in cemento armato dello stesso colore della terra, gli affreschi ispirati all’arte degli indiani Hopi, i sorrisi spontanei dei cittadini di Arcosanti, i rampicanti attorcigliati sulle finestre, l’azzurro sbiadito dalla luce estrema del deserto, sembra di entrare in un sogno: non un’idea patinata e astratta, ma una realtà di vita più semplice e vera.
Non conoscevo Cosanti e Arcosanti, né – mea culpa - Broadacre City, l’utopia pensata dal maestro di Soleri, Frank Lloyd Wright, raccontata in un bellissimo documentario “trovato” per caso in televisione. Nulla accade per caso…Entrambi gli architetti credevano nella natura e la rendevano parte della loro opera. Entrambi pensavano che potesse esserci un futuro diverso, al di là delle nostre città progettate in base ai consumi: un domani senza macchine, con agglomerati orizzontali e non verticali, con centri di aggregazione accessibili a tutti.
Tornando a casa, ho guardato dall’alto la città in cui vivo, piena di punte e guglie, come una cattedrale gotica, così diversa dalle idee di Soleri e Wright. Ho cercato di immaginarla fra mille anni: forse anche nei nostri appartamenti, stretti e impilati come cubi giocattolo, germoglierà un modo migliore di vivere insieme. Forse, l’importante è non accontentarsi: capire che, in questa sola esistenza certa, si può ancora essere felici.
Elena Nieddu
Nata a Genova nel 1974, laureata in Scienze della Comunicazione all’Università degli Studi di Torino, ha conseguito il praticantato giornalistico all’Ifg “Carlo De Martino” di Milano. Nel 2019 è uscito il suo primo libro, “Senza pelle”, edito da Ensemble. Suoi racconti sono stati pubblicati da “Nuovi argomenti”, “La città”, “Letterate Magazine”. Per il quotidiano “Il Secolo XIX” si occupa di cultura, spettacoli e società.
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