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Come diventare una giovanissima in gamba


di Arianna Destito Maffeo





Come diventare una giovanissima in gamba.

Qualche tempo fa ho ritrovato questo libro, su eBay. Un libro che mi avevi regalato tu da piccolina. Avrò avuto sei, sette, otto o nove anni? Non so quando pensavi fosse l’età giusta per regalarmi un libro per diventare una giovane in gamba. Fatto sta che lo ricordo bene quel testo dallo sfondo rosso con una bambina bionda disegnata, una matita, un taccuino e fogli dappertutto.

Ho un ricordo vago e confuso di quei momenti. Però ricordo con chiarezza il libro nella mia libreria, lo prendevo, lo sfogliavo, lo facevo mio, lo stropicciavo e poi lo riponevo tra gli scaffali.



Quando l’ho trovato su eBay mi si è aperto il cuore. Una sensazione immediata di nostalgia mista a benessere, che arrivava a una parte silente della mia anima. Un affetto lontano. L’ho acquistato subito, a una cifra improba ma senza esitazione perché quel titolo rimbombava nella mia testa da tempo. Riecheggiava nelle malinconie di bambina inquieta più o meno così, Come diventare una ragazza in gamba. Solo che sbagliavo il titolo. Per questo non lo trovavo. Sbagliando e cercando con ostinazione alla fine non si trova mai niente, un po’ come nella vita.

Capita però che il destino ti aiuti a trovare la cosa giusta al momento giusto. Forse qualche anno fa nemmeno avrei fatto caso a quella copertina e quel titolo avrebbe richiamato l’eco di un suono così lontano da sfiorare appena la mia attenzione.

Ora no. È buffo come i ricordi vadano dove vogliono loro, si mescolino e si facciano ritrovare per caso, un po’ come il gioco delle tre carte.


Sfoglio le prime pagine del libro. Una casa ben organizzata, dice il paragrafo. Tabella impegni, dice la pagina seguente. Un posto per ogni cosa e ogni cosa al suo posto. Regole di buon senso e di buon comportamento per una bambina. Pannelli colorati per organizzare schemi di vita quotidiana.




E pensa, io ho sempre detestato fare planning e scrivere liste. Ma ogni volta che guardavo quel pannello del libro, restavo ipnotizzata, una parte di me avrebbe desiderato organizzarsi e fare liste, perché è così che si fa. Sono cresciuta con i telefilm americani, la famiglia Bradford, dove, se dovevano scrivere, adoperavano sempre le matite, quelle con la gommina in alto, da usare per cancellare eventuali errori. E alla fine, nonostante tutte le complicazioni, e i problemi vari, le storie del telefilm andavano sempre a finire bene, perché erano in tanti e si volevano bene ma soprattutto avevano un piano e sapevano organizzarsi, ecco, sì, deve essere stato così. Con le matite è più facile fare un planning, si può sempre cancellare e riformulare un programma, mentre con la penna tiri una riga ma il casino resta lì, in bella vista, e anche se scarabocchi e cerchi di rimediare, non fai altro che aumentare il casino e l’occhio ti cade sempre lì, sull’errore.


Io ho una memoria di ferro, tra l’altro, e le agende mi servono a poco. Soffro di iper memoria autobiografica, ho una fissa per le date e questo è un guaio perché quando mi dicono: ti ricordi quella volta a quella cena? Sì, certo era il 12 marzo 2002. Restano tutti di sale come se mi fossi trasformata in una sorta di Sibilla Cumana o di strega. Certe volte taccio per evitare quella espressione incredula come a dire: si certo, sono passati vent’anni e tu come fai a sapere ora mese e minuti?

Devo aver preso da mia nonna Ninnì, ricordi, la tua ex suocera? Certo, come puoi dimenticarla? Andavi a trovarla ogni domenica pomeriggio, e pensare che mi dava fastidio perché non capivo cosa ti legasse alla mamma di quell’ex marito che ti aveva maltrattato e dal quale eri riuscita a liberarti con successo.

Che fatica essere figlie.

Che fatica essere madri.

Che fatica avere a che fare con uomini misogini e maschilisti.

Questo ti legava alla nonna, lo so, era una sorta di sorellanza taciuta ma complice. Mi sembra di vederti alla domenica, verso le sei, avanzare, alta, bionda, con l’aria marziale, il passo sicuro, insieme a Cleo, labrador nera. Sempre con la giusta distanza, il rispetto che si porta a un’anziana signora, alla quale davi sempre del lei. Mi sembra di vederti mentre le parlavi e per portarle un po’ di allegria ogni volta le mostravi con orgoglio il livello di buona istruzione del cane. Perché ovviamente anche lei doveva avere un’istruzione, ça va sans dire, e l’avevi mandata a scuola per imparare a obbedire, perché era davvero troppo irruente e ingestibile, del resto si sa che i labrador sono zucconi e giocherelloni.

Tutti dovevano studiare in casa nostra, anche il cane.


Sto divagando.

Tutto questo per dire che le liste mi piace farle quando le cose le ho già fatte. Dopo che ho realizzato un sacco di progetti, mi piace mettere le crocette e scrivere tutto quello che ho fatto e che è andato a buon fine. Prima, per una sorta di pensiero magico e di maledetta scaramanzia, non mi piace parlare di niente e ancora meno scrivere liste, non si sa mai.

Provo a fare tutto in religioso silenzio.


Sono diventata una giovanissima in gamba? Lo sono stata per qualche periodo, come desideravi tu?


Certo, proprio come volevi tu, no, per niente.

A tratti, forse. Sbandando, forse. Provando e riprovando diverse strade, forse.


Stamattina ascoltavo a Radio Capital Doris Zaccone, una delle migliori speaker radiofoniche che, parlando della Festa della Mamma vissuta da figlia, diceva più o meno così: c’è un momento in cui cambia tutto. Quando la mamma muore, cambia ogni cosa. Sembra un’ovvietà, ma è così. Non saprei trovare le parole per descrivere questa sensazione ma tutto si trasforma, ogni percezione, ogni prospettiva. Ribalti ogni convinzione. Quello che prima era naturale, d’improvviso smette di esserlo. Perché non si può più praticare. Le incazzature (ma per cosa, poi?), le recriminazioni (ancora e sempre), le insicurezze, le nostalgie, le cene della domenica sera insieme. Ricordi mamma?


A un certo punto avevamo trovato una terra neutra, dove ricostruire la nostra storia, io abitavo a Sori e verso sera per evitare il traffico del rientro dalla riviera venivo a cena da te. Domenica dopo domenica, anno dopo anno, anche quando abitavamo più vicine e la coda del rientro non mi riguardava più. Cascasse il mondo la cena della domenica era il nostro rituale. Anche quando ti stressavo con le mie diete e ti dicevo Mamma, guarda: ho la pancia. E tu alzavi gli occhi al cielo e mi rispondevi Ma sempre dopo che hai mangiato me lo dici?! Ma quale pancia!

Apparecchiavi come piace a me, con i contrasti, la tovaglia bianca o quella animalier, le posate d’argento, e i piatti colorati. A volte il Berlucchi, a volte l’insalatina di finocchi e scaglie di grana e la torta verde oppure gli ziti piccanti, la tua specialità, o i ripieni, o le melanzane alla scapece. Tu eri quella piccante ed eccentrica.

Chiacchiere in allegria.

C’erano voluti anni per arrivare fin lì. Ma ce l’avevamo fatta. Avevamo la nostra terra promessa.


Ricordi il tempo a parlare del nuoto? La passione per nuotare ci aveva unito.

Io ho fatto cinquanta vasche, ti dicevo.

E io ottanta rispondevi, ma per arrivare al mio allenamento ci vogliono anni.

Quanto ero orgogliosa di avere una mamma così in gamba, che lavorava ancora se voleva, che nuotava, usava i social e andava al parco della Valletta con la cagnolina, perché nel frattempo la Cleo era morta e tu l’avevi immediatamente sostituita con una piccola cavalier king di nome Nathalie (per te era più facile fare a meno d’un marito che del cane).


Hai ragione mamma, per allenarsi a diventare qualcosa ci vogliono anni, per arrivare a essere in gamba ci vogliono decenni. C’è chi non ci riesce mai. Chi non cambia mai e neppure ci prova, neppure se ne accorge.





Come diventare una giovanissima in gamba?

Tanto per cominciare dovrei cancellare giovanissima.

Come diventare in gamba?

Forse dovrei cancellare in gamba.

Come diventare.


Mi sembra un ottimo titolo perché la vita è un divenire continuo.

E anche oggi come sempre, da quando non ci sei più, avrei voglia di chiamarti per raccontarti che ho scritto un articolo che parla di noi. So che ti precipiteresti a leggerlo e poi a stamparlo come facevi con tutti quelli che pubblicavo quando eri ancora in vita.


Tina, quanto ci saremmo divertite alle presentazioni del mio libro!


Lo so che saresti orgogliosa e ripenso a quella volta che eravamo in riva al mare agli Squash, verso sera, quando la spiaggia si svuotava e il sole stava per tramontare, l’ora più bella, insieme alle tue amiche, Anna e Lella, e mentre voi chiacchieravate, io leggevo un libro di Simone De Beauvoir, Quando tutte le donne del mondo. Era appena passato Mustafà che ci salutava con la gentilezza che lo contraddistingue e ci mostrava magliette e costumi colorati. Io continuavo la lettura, interrotta solo dalla tua frase: Conosco tanti polli che si sentono aquile, ma solo un’aquila che si sente un pollo: la mia bambina.


Avevo alzato la testa e ti avevo guardato con quell’aria tipica che fanno le figlie, quando pensano, Mamma, cosa stai dicendo?

E alla fine siamo scoppiate in una risata.





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