Nel 1999 la Conferenza Generale dell’Unesco istituisce la Giornata Mondiale della Poesia, che per definizione da allora verrà celebrata il 21 marzo di ogni anno. Che è poi la data dell’equinozio di primavera, quando la notte e il giorno hanno pressappoco la stessa durata, quando la realtà e il sogno hanno la stessa importanza. Per dirla con Dante (non a caso), il giorno in cui si intraprende il viaggio che conduce a conoscere ombre e luci dall’inferno al paradiso.
Siamo abituati a giornate istituzionali dedicate alla difesa della Terra, alla difesa dei diritti della donna e della disabilità, alla valorizzazione della diversità culturale, alla lotta contro l’omofobia, persino all’acqua e alle foreste. Tutte categorie in pericolo, discriminate e che necessitano di un appuntamento dedicato espressamente a loro per essere protette e difese. E la poesia? È dunque così anche per la poesia? C’era davvero bisogno che venisse istituita una giornata per ricordarci di lei e dell’importanza che ha e ha sempre avuto nella vita dell’essere umano?
Evidentemente sì.
La poesia fa parte della storia degli uomini da quando essi hanno sviluppato la facoltà della parola, ne ha accompagnato i primi passi verso la conoscenza verbale del mondo circostante, aiutandoli ad esprimere il visibile ma anche ciò che non si vede, le emozioni. È stata la poesia, strumento per imparare il reale, a favorire la diffusione delle idee attraverso l’oralità; attraverso il cammino che compie, sia orizzontalmente da luogo o a luogo, che verticalmente da tempo a tempo, è stata nutrice del progresso umano. Eppure, via via, questa suo ruolo vitale le è stato sempre meno riconosciuto. La tecnologia - aspetto indubbiamente altrettanto fondamentale, ma non unico - l’ha soppiantata, lasciandola indietro, riducendola spesso ad un ricamo, un vezzo per nostalgici del genere o per intellettuali accaniti. Come se la poesia non toccasse ogni aspetto della vita. Come se ci potesse essere vita senza poesia.
Non è così. La poesia è stata pane in luoghi e tempi impensati, ha dispensato luce, bellezza, conforto laddove altro non riusciva ad arrivare. Ha fatto ridere i bambini, infiammato gli amanti, incantato le donne sull’orlo di una finestra, gli uomini stanchi al fianco di un fuoco. Non sempre ha dimorato nelle pagine dei libri, è stata canzone, filastrocca, indovinello, salmo, lettera d’amore. Scritta sulla carta, sui muri, nell’incarto dei cioccolatini, sulle falde dei calendari. C’è più poesia di quanta ne riusciamo a vedere. Di quanto siamo disposti ad ammettere.
Se questa giornata ha un senso, è quello di riconciliarci con l’idea di poesia, non come qualcosa di polveroso e inutile, un ricordo noioso da sussidiario, ma come un momento di incanto, in cui le parole diventano nuvole per transitare in spazi aperti, lenti trasparenti da cui osservare il minuscolo, l’imprevisto, l’ignoto, per ridarci la capacità di stupirci e di farci domande. Diamoci il tempo per leggere un verso e ci accorgeremo che non è poi così distante da noi, ci accorgeremo che ci assomiglia, ci accorgeremo che in fondo avremmo potuto scriverlo anche noi. Quindi chiediamoci, così come fanno i poeti, che cos’è la poesia per noi?
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti:
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
Eugenio Montale
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Devo prendere te? disse il Poeta
Alla parola che si proponeva.
Mettiti in fila con i Candidati
Finché non avrò spulciato di più -
Il Poeta cercò nella Filologia
E stava per suonare
per il Candidato in sospeso
Quando arrivò non invitata -
Quella porzione di Visione
Che la Parola ambiva a riempire
Mai fino alla nomina
Il Cherubino si rivela –
Emily Dickinson
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La gioia di scrivere
Dove corre questa cerva scritta in un bosco scritto?
Ad abbeverarsi ad un’acqua scritta
che riflette il suo musetto come carta carbone?
Perché alza la testa, sente forse qualcosa?
Poggiata su esili zampe prese in prestito dalla verità,
da sotto le mie dita rizza le orecchie.
Silenzio – anche questa parola fruscia sulla carta
e scosta
i rami generati dalla parola “bosco”.
Sopra il foglio bianco si preparano al balzo
lettere che possono mettersi male,
un assedio di frasi
che non lasceranno scampo.
In una goccia d’inchiostro c’è una buona scorta
di cacciatori con l’occhio al mirino,
pronti a correr giù per la ripida penna,
a circondare la cerva, a puntare.
Dimenticano che la vita non è qui.
Altre leggi, nero su bianco, vigono qui.
Un batter d’occhio durerà quanto dico io,
si lascerà dividere in piccole eternità
piene di pallottole fermate in volo.
Non una cosa avverrà qui se non voglio.
Senza il mio assenso non cadrà foglia,
né si piegherà stelo sotto il punto del piccolo zoccolo.
C’è dunque un mondo
di cui reggo le sorti indipendenti?
Un tempo che lego con catene di segni?
Un esistere a mio comando incessante?
La gioia di scrivere
Il potere di perpetuare.
La vendetta d’una mano mortale
Wisława Szymborska
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Le carte
… Imbrogliare le carte,
far perdere la partita.
E’ il compito del poeta?
Lo scopo della sua vita?
Giorgio Caproni
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Che cosa è la poesia
la linea (lunga che, larga che) lista
(unifica, univerte, ulcera, ustiona),
con campi e cerchi, critico e cronista:
(informa e incide e imprime, idolo e icona):
Arti e artefatti articola in artista
nessi di nodi di nuda non persona,
occhi ottativi in ottimo ottimista:
avventi e apofobie, se avverbia, aziona:
normale normativa nutre nomi,
concilia congiuntivi e congiunzioni,
esprime esclamativi, elude encomi:
succhia i supini, è soma in semi ne in stomi:
chiavi e chiodi conchiude in cavi coni,
indica indicativi in ipoidiomi
Edoardo Sanguineti
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Che belle parole
se si potesse scrivere
con un raggio di sole.
Che parole d’argento
se si potesse scrivere
con un filo di vento.
Ma in fondo al calamaio
c’è un tesoro nascosto
e chi lo pesca
scriverà parole d’oro
col più nero inchiostro.
Gianni Rodari
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