di Alessia Spinola
Mercoledì 2 novembre, a Genova, è stato ricordato uno dei capitoli più bui della città, ovvero la deportazione degli ebrei genovesi nei campi di concentramento a seguito dell’invasione nazista all'interno della sinagoga, avvenuta il 3 novembre 1943.
La Marcia della Memoria viene organizzata dal 2010 dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Comunità ebraica di Genova insieme al Centro Culturale Primo Levi e consiste in una processione silenziosa che parte dal teatro Carlo Felice e arriva sino alla sinagoga di via Bertora, con lo scopo di ripercorrere gli stessi passi effettuati dagli ebrei il giorno della deportazione e far riflettere sul passato.
All’apertura dell’evento ci sono stati diversi interventi da parte di vari esponenti molto importanti per la comunità genovese ed ebraica, quali il rabbino capo di Genova Giuseppe Momigliano, don Francesco Doragrossa, Andrea Chiappori della Comunità di Sant’Egidio, Alberto Rizzerio del Centro Primo Levi e Raffaella Luzzati, presidente della Comunità ebraica genovese. Presente anche il vicesindaco Pietro Piciocchi.
In questi discorsi di apertura si è raccontato quella che è stata la deportazione e le terribili conseguenze che il nazismo ha provocato non solo a Genova, ma in tutto il mondo.
In questo caso specifico, il giorno in cui i nazisti hanno varcato le porte della sinagoga, gli ebrei genovesi hanno percorso un tragitto che prevedeva come prima tappa il carcere di Marassi, come seconda quello di San Vittore a Milano, e, infine, Auschwitz.
"Il ricordo dell'abisso di Auschwitz non appartiene solo al passato, occorre guardarlo negli occhi ancora di più oggi, mentre la guerra si è riaffacciata drammaticamente sul suolo europeo, per costruire la pace e un domani senza violenza", si sente dire in uno degli interventi.
Ricordare è fondamentale perché solo imparando gli errori del passato possiamo costruire un futuro migliore, e se ancora oggi sentiamo parlare di guerre e di invasioni allora vuol dire che la memoria non basta, perché è inutile condannare il passato senza però fare nulla di concreto per il futuro e per evitare che drammatici eventi della storia possano ripetersi.
Fino ad oggi sono stati i sopravvissuti a raccontarci gli orrori della Shoah e la crudeltà della discriminazione, ma cosa faremo quando questi saranno tutti scomparsi e non potranno più portarci le loro preziose testimonianze? Abbiamo nelle mani un’eredità dal valore inestimabile che ci carica di una responsabilità enorme, ovvero quella di continuare a far sentire le loro voci anche quando non ci saranno più e impedire che la gente dimentichi, soprattutto le nuove generazioni, le quali vivono sempre più in un mondo dove la violenza è all’ordine del giorno. È di fondamentale importanza ricordare loro ciò che la malvagità ha causato e dobbiamo fare tutto quello che è in nostro potere per evitare che il ricordo scompaia insieme a coloro che hanno vissuto queste atrocità, non dobbiamo rendere vano il loro sacrificio.
“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre”
- Primo Levi
Sembra assurdo, ma è così. Le leggi razziali non sono nate per caso, non sono state create da un giorno all’altro, ma sono state il risultato di una campagna che sfruttava i punti deboli delle persone e consegnava loro un colpevole, un responsabile dei loro problemi.
Un fenomeno simile lo vediamo ancora oggi con i flussi migratori, dove, chi vuole ostacolarli, cerca l’appoggio della gente proferendo solo falsità e distorcendo i reali dati. Ad esempio, un elemento usato per mettere in cattiva luce gli immigrati e che ha molto successo nei comizi, è quello che “gli stranieri ci rubano il lavoro”, quando in realtà siamo noi che, a differenza di qualche anno fa, non accettiamo più determinati lavori perché siamo più istruiti rispetto al passato e, di conseguenza, scartiamo quegli impieghi che invece chi viene in Italia accetta subito, la maggior parte delle volte con un compenso al limite dalla legalità.
Questo per dire che non dobbiamo essere indifferenti davanti alle ingiustizie, perché l’odio nasce solo dove trova un terreno fertile dove mettere radici e la superficialità è il suo miglior concime.
Concludo questo articolo sottolineando l’importanza della memoria non solo nelle date commemorative, ma ogni giorno, perché se ricordiamo solo un giorno all’anno rischiamo che questa giornata sia solo un involucro vuoto. Dobbiamo essere noi ad agire sempre al massimo delle nostre potenzialità per creare un futuro diverso, in cui le parole “guerra” e “razzismo” appartengano solo al passato. Ricordiamoci che la politica è ovunque, è nelle scelte che facciamo ogni giorno e siamo noi gli artefici del destino nostro e dell’umanità, nessuna istituzione politica potrà mai governare se non ha l’appoggio della popolazione, perciò stiamo bene attenti alle nostre scelte, e, soprattutto, ricordiamo.
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