ALFONSINA STORNI, l'alma desnuda
“Soy un alma desnuda en estos versos, alma desnuda que angustiada y sola va dejando sus pétalos dispersos.” Un’anima nuda e tormentata, che va disperdendo i suoi petali. Così si definiva Alfonsina Storni, poetessa argentina nata in Svizzera, nel Canton Ticino, nel 1892. Petali di sé stessa che ha disperso con generosità ed energia, vivendo intensamente una vita breve fatta di tanto lavoro, duro, a tratti durissimo, e di una scrittura sensibile alle istanze sociali e all’affermazione della dignità della donna.
La famiglia ha origini benestanti, trasferitasi in Argentina per seguire gli affari dell’impresa, ma la prematura morte del padre insegna ad Alfonsina l’asprezza della battaglia quotidiana. Prima dei vent’anni è cameriera, lavapiatti, cucitrice, operaia, maestra di scuola ma anche attrice, attività che le permette di muoversi e cominciare ad esprimere in parte il suo forte potenziale creativo e il suo desiderio di indipendenza.
Nel 1912 resta incinta. È giovanissima e quasi priva di mezzi, ma decide che quel figlio lo vuol tenere, anche se mai rivelerà l’identità del padre, e si trasferisce a Buenos Aires, dove è più facile per una ragazza madre confondersi tra la folla e trovare la propria strada. Perché è questo che Alfonsina vuole: essere sé stessa, autodeterminandosi come persona e come donna. Nella grande metropoli di inizio secolo, tra le laceranti contraddizioni di una modernità che avanza e una miseria che non arretra, Alfonsina scrive e vive con la stessa intensità.
In breve tempo si fa conoscere ed apprezzare come poetessa, pubblicando nel 1916 La inquietud del rosal, seguita da El dulce daño (1918), Irremediablemente (1919), Languidez (1920), Ocre (1925), Poemas de amor (1926). Entra in contatto con i grandi rappresentanti della cultura della sua epoca - Gabriela Mistral, Pablo Neruda e Federico García Lorca, inizia a scrivere reportage giornalistici in cui magistralmente mette insieme cronaca e narrazione, lasciandosi ispirare dalla città in movimento e dai soggetti che la attraversano. Affronta temi sociali forti – il diritto al voto delle donne, l’educazione sessuale nelle scuole, le condizioni del lavoro operaio femminile – con fervore e lucidità, partecipando alle lotte in prima persona e scrivendone con acume e ironia.
Nel 1935 la malattia attacca la sua energia: un cancro al seno, che tenta di contrastare ma che le verrà diagnosticato come inguaribile. Ancora una volta Alfonsina non ci sta ad essere passiva, non accetta di subire un destino segnato, consumando il suo tempo nell’attesa. Se non può più essere padrona della sua vita, lo sarà della sua morte. Nel 1938 si suicida, annegandosi nel mare di Mar de Plata, andando incontro alla morte come si fa con un abbraccio. Ancora una volta a viso aperto, ancora una volta indomita.
La poesia della Storni impressiona per la dolcezza e per la forza che ne traspare. I temi dell’amore e del dolore, della primavera e dell’inverno, della vita e della morte, s’intrecciano in un lessico che ne sottolinea la presenza costante nell’esistenza, l’intreccio a volte tumultuoso, a volte placato da un languido sentimento soffuso. Nelle sue poesie giovanili si sente l’impronta di un romanticismo culturale ancora così presente ad inizio secolo, ma da cui via via l’esperienza esistenziale personale e dell’essere donna in una società ancora profondamente maschile la allontaneranno, per condurla ad una tensione emotiva più dolente, più disillusa.
Il passaggio dalla rima – una rima che è stata però preziosa e mai leziosa – al verso libero segna il passo di questa disillusione. Storni non smetterà di cantare l’amore, ma lo farà conoscendone anche le ombre, l’amarezza dell’abbandono. Nonostante vivesse la città in tutte il suo proteiforme universo di suggestioni e contraddizioni, sarà sempre l’elemento naturale a darle la sponda per i suoi versi, a fare da specchio al suo sentimento. Nella natura, che sia fiore, che sia terra, che sia mare, Alfonsina trova l’immagine per l’inquietudine che l’attraversa, ne trova identità d’espressione.
E sul finire del suo tempo è proprio la natura che sceglie come chiusa dei suoi versi, Alfonsina sceglie il mare come ultima veste per un viaggio che sente inevitabile e che non vuole ostacolare. Qualche giorno prima di dare fine alla sua vita scrive i bellissimi versi di “Voy a dormir”, che lascia nella sua camera d’albergo come fosse una lettera d’addio ad un amante che tanto si è amato ma da cui ci si deve separare. Se c’è dolore in questo commiato è comunque accettato, mentre l’anima di questa donna combattiva e appassionata, si prepara al sonno chiedendo di essere accolta e accudita come creatura della terra. Fiori, erba, rugiada, lenzuola di morbida terra e coperta di muschio, null’altro chiede per sé. Nemmeno il rumore di un addio. A chi chiederà di lei, le dices que no insista, que he salido, digli che non insista, sono già uscita.
Anima nuda
Sono un’anima nuda in questi versi,
anima nuda che tormentata e sola
va disperdendo i suoi petali.
Anima che può essere papavero,
può essere un giglio, una violetta,
una roccia, una foresta e un’onda.
Anima che come il vento vaga inquieta
e ruggisce sopra gli oceani
e dorme dolcemente in una fessura.
Anima che adora sui loro altari
dei che non si chinano per accecarla;
anima che non conosce ostacoli.
Anima che fosse semplice dominare
con un solo cuore che si spezzasse
per annegarla nel suo tiepido sangue
Anima che quando è primavera
dice all’inverno che si attarda: torna,
cada la tua neve sopra la prateria.
Anima che quando nevica si scioglie
in tristezza, reclamando per le rose
con cui la primavera ci avvolge.
Anima che a tratti libera farfalle
in campo aperto, senza imporre distanza
e dice loro: nutritevi di ogni cosa.
Anima che può morire di una fragranza,
di un sospiro, di un verso che implora,
senza perdere, se può, la sua eleganza.
Anima che nulla conosce e nulla nega
e negando il buono, propizia il bene
perché negandolo ancor più ne consegna.
Anima che ha come piacere
toccare altre anime, disdegnare l’orma
e sentire sulla mano una carezza.
Anima che sempre da sé è diversa,
come il vento vaga, corre e gira;
anima che sanguina e senza fine delira
per essere la nave in cammino dalla stella.
Alma desnuda
Soy un alma desnuda en estos versos, Alma desnuda que angustiada y sola Va dejando sus pétalos dispersos. Alma que puede ser una amapola, Que puede ser un lirio, una violeta, Un peñasco, una selva y una ola. Alma que como el viento vaga inquieta Y ruge cuando está sobre los mares, Y duerme dulcemente en una grieta. Alma que adora sobre sus altares, Dioses que no se bajan a cegarla; Alma que no conoce valladares. Alma que fuera fácil dominarla Con sólo un corazón que se partiera Para en su sangre cálida regarla. Alma que cuando está en la primavera Dice al invierno que demora: vuelve, Caiga tu nieve sobre la pradera. Alma que cuando nieva se disuelve En tristezas, clamando por las rosas con que la primavera nos envuelve. Alma que a ratos suelta mariposas A campo abierto, sin fijar distancia, Y les dice: libad sobre las cosas. Alma que ha de morir de una fragancia De un suspiro, de un verso en que se ruega, Sin perder, a poderlo, su elegancia. Alma que nada sabe y todo niega Y negando lo bueno el bien propicia Porque es negando como más se entrega. Alma que suele haber como delicia Palpar las almas, despreciar la huella, Y sentir en la mano una caricia. Alma que siempre disconforme de ella, Como los vientos vaga, corre y gira; Alma que sangra y sin cesar delira Por ser el buque en marcha de la estrella.
(traduzione a.g.)
Redazione themeltinpop.com
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