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Immagine del redattoreAntonella Grandicelli

C'era una svolta: giuste indicazioni sulla via delle fiabe




Foto di Sara Lando
Foto di Sara Lando

Avete presente quando vi mettevano seduti sulle ginocchia e attaccavano con “C’era una volta”? Quando allargavate gli occhioni stupefatti su un mondo dove le principesse erano sempre bellissime e infallibilmente perseguitate dal male, da cui all’ultimo secondo un eroe, perfetto sconosciuto, ma lucente e soprattutto molto molto principe, arrivava a salvarle? Ebbene, scordatevi di tutto questo.


Sì, ve lo confermo, dovevate dare ascolto al vostro istinto. Troppo belli principesse e principi, troppo brutte e brufolose le streghe, troppo alto il tasso di mortalità tra giovani re e regine. Il mondo delle fiabe non aveva neanche un briciolo di somiglianza con la realtà e questo avrebbe dovuto metterci in guardia. E soprattutto evitarci inevitabili disillusioni. Ci sarebbe voluto un vademecum, direte voi. Un libretto di istruzioni, una cartina al tornasole che ci svelasse che cosa raccontavano davvero quelle fiabe, perché non avremmo dovuto avere poi quella gran stima e quel gran istinto di emulazione nei confronti di tali principesche fanciulle, così smaccatamente beote, né attendere l’arrivo di principi con il QI di una viola mammola. Ebbene, se di questo avevamo bisogno, ora c’è.



Foto di Sara Lando
Foto di Sara Lando

Ce lo ha regalato la sagace ed ironica penna di Barbara Fiorio nella riedizione di “C’era una svolta” (Morellini Editore, 2019), dove l’autrice ci conduce per mano attraverso le più conosciute fiabe – ma anche quelle meno – togliendoci finalmente la benda dagli occhi, ridando di nuovo la tridimensionalità ad un mondo di figurine ritagliate su uno sfondo di carta. Riportando un po' di sano disordine laddove un ordine fittizio e sleale era stato messo.

“C’era una svolta” aveva avuto una prima edizione dieci anni fa, nato da una voglia iconoclasta nei confronti dei falsi miti fiabeschi che in fondo Barbara Fiorio coltivava già da bambina (vedi La principessa e il più bello). La riedizione, uscita nella collana Ripubblica dell’editore Morellini, è ancora più ricca di fiabe e, se possibile, di consapevolezza. Ma questo ce lo facciamo raccontare direttamente da lei.


“Vi racconto le fiabe vere” avevo esordito un giorno su un blog […] togliendomi l’enorme soddisfazione di passare l’evidenziatore sugli archetipi con cui siamo cresciuti e mostrarne il loro lato assurdo, esilarante e anche un po’ tossico. Che cosa ti ha spinto a voler raccontare le fiabe vere?

Lo hai fatto per loro, perché in fondo volevi un po’ vestirti da eroina anche tu e liberarle dagli ingannevoli strati di stucco con cui nel tempo sono state ricoperte, o per tutti noi, per riportarci alla realtà e affrancarci dal senso di colpa di aver mancato il principe azzurro perché in quell’esatto momento dovevamo fare pipì?

L’ho fatto perché amo le fiabe classiche e non amo gli inganni. Che poi, povera Disney, non è che abbia ingannato: non poteva certo mettere in un cartone animato per bambini delle colombe bianche che strappano gli occhi alle sorellastre di Cenerentola, Biancaneve che vomita la mela, la Sirenetta che muore, il Principe ranocchio spiaccicato contro il muro, Raperonzolo che vaga incinta nel deserto o il Soldatino di stagno che brucia vivo. Per dire.

Però la mia voglia di raccontare le fiabe come ce le hanno consegnate i fratelli Grimm e Perrault o come le ha inventate Andersen è nata proprio quando ho visto la Sirenetta della Disney che alla fine sposa il principe. Stavamo perdendo un patrimonio culturale importante solo per la pigrizia di non andare a leggere le versioni originali, e siccome io ho avuto la fortuna di avere una nonna che i film della Disney non li aveva visti ma quelle fiabe le conosceva bene, so per esperienza personale che anche quelle versioni possono essere amate dai bambini. Poi, raccontandole da adulta ad adulti, è stato inevitabile spezzare l’incantesimo e divertirmi con le deliziose illogicità o gli insopportabili cliché delle fiabe.

I personaggi delle fiabe, così come ci vengono da te mostrati nelle loro reali sembianze, sono un ricettacolo di vizi, capricci, stoltezza, crudeltà, riprovevoli quando non malsane abitudini. Nell’universo di carta pare non salvarsi proprio nessuno, come d’altra parte succede nell’universo reale. In questo mare di principi, principesse, maghe e streghe, rospi, topi e nani, qual è il personaggio che in assoluto ti provoca un’orticaria indicibile e quello che invece ti è proprio dannatamente simpatico? La risposta della Barbara di oggi è uguale a quella della Barbara bambina, ovvero la crescita – fisica e culturale – cambia le nostre percezioni?

Da bambina i cattivi delle fiabe mi facevano molta paura, oggi li adoro, sono i miei preferiti. Non perché sia diventata cattiva, ma sono diventata adulta e ho occhi diversi.

Però c’è un personaggio che mi faceva arrabbiare allora come oggi. Mia mamma mi ha raccontato di come sia stato impossibile farmi vedere, al cinema, Biancaneve fino alla fine.

A quei tempi potevi stare al cinema quanto volevi, anche rivedere il film, era diverso da oggi, per cui so che sono stati fatti diversi tentativi, credo anche in diversi giorni, ma niente.

Quando si arrivava alla scena della strega che offre a Biancaneve la mela avvelenata, io – quattrenne – cominciavo a urlare “No, Biancaneve! Non prenderla, è avvelenata! Muori!” e continuando a urlare il mio “Nooo” mi alzavo e correvo verso lo schermo probabilmente per farmi sentire meglio da quella sciroccata che pareva sorda. E niente, l’idiota la prendeva lo stesso e la mordeva, cadendo a terra come morta, facendo correre me fuori dal cinema, mentre piangevo come una disperata e mia madre mi inseguiva.

Pare che questa scena – la mia, dico – si sia ripetuta finché non si sono arresi. Non c’era verso: Biancaneve non voleva ascoltarmi e, ogni dannatissima volta che la strega le offriva la mela, la prendeva e la mordeva nonostante tutti i miei avvertimenti. E lo sapeva che era avvelenata, accidenti!

Mi faceva sentire impotente e mi aveva convinta di ciò che allora non avevo il coraggio di dire – era pur sempre l’eroina di una fiaba – ma che oggi dico senza problemi: Biancaneve era veramente stupida.

“Le fiabe vanno lette, e amate, per andare oltre, per rendere tutto possibile, per sconfiggere i limiti e sfumare gli orizzonti, per capovolgere i cliché e giocarci insieme, per capire come inventare nuove fiabe, più nostre, più adatte ai bambini e soprattutto alle bambine di oggi.”

Senza voler tirare la barba a Propp e a tutti coloro che hanno fatto della fiaba uno strumento di analisi culturale, pensi che realmente la fiaba debba essere un dispositivo pedagogico – e pertanto condizionata dal messaggio – oppure debba essere nient’altro che una cavalcata senza briglie nel regno della fantasia, per dare ai bambini l’occasione di creare? Nella fiaba Barbazzurra tu proponi più finali alternativi, credi che lasciare una fiaba aperta in modo che il bambino possa concluderla da sé possa essere un esempio di stimolo della creatività?

Dipende di cosa stiamo parlando. Le fiabe inventate e raccontate dagli adulti ai bambini devono raccontare qualcosa, dare un messaggio e concludersi con un lieto fine (lasciamo stare Andersen che, giustamente, diceva di non scrivere fiabe per bambini).

Chiaro, non è più il tempo di principi e principesse e soprattutto – soprattutto – non è più il tempo di dare alle bambine solo esempi di femmine la cui unica caratteristica importante sembra essere la bellezza e l’unico obiettivo il matrimonio. Ho trovato meravigliosa l’idea di “Shrek”, dove la principessa, alla fine, sceglie di rimanere orchessa, perché non è la bellezza canonica ciò che le importa ma quella dei propri occhi, essere sé stessa e stare con la persona con cui sta bene e si diverte (si innamorano parlando e ridendo molto insieme, i due, anche questo è bello). E ho trovato bellissimo anche “Brave”, dove la protagonista non ha nessun interesse a sposarsi e sceglie la propria emancipazione.

Mi pare che si vada via via verso questo genere di fiabe, molto più giuste, sane e attuali per le bambine e i bambini di oggi. Ciò non significa non raccontargli anche le fiabe di un tempo.

Poi, per quanto riguarda la fantasia dei bambini: loro vanno lasciati andare senza briglie nel regno della fantasia, liberi di creare. Quello sempre.

All’interno della raccolta, hai inserito una fiaba che ti vede come autrice novenne e con le idee già molto chiare. Ne La principessa e il più bello infatti, usciamo decisamente dallo stereotipo della “principessità” classica, in quanto Carin è davvero una tipa tosta che sa quel che vuole e, quando ancora non lo sa, si prende il tempo per capirlo, senza gettarsi tra le braccia del primo che passa per paura di restare zitella. Anzi, addirittura crea il primo allevamento di fidanzati in cattività che si conosca (ben molto prima Uomini e donne di Maria De Filippi). Ritieni che la differenza tra scrivere una fiaba da bambino e scriverla da adulto possa essere tra un mondo come lo si vede e uno come lo si vorrebbe vedere?

Io credo che anche i bambini inventino i mondi che vorrebbero vedere e credo che anche gli scrittori possano raccontare il mondo come lo vedono loro.

Io non so se quando ho scritto La principessa e il più bello avessi in mente un mondo come lo vedevo o un mondo come avrei voluto vederlo, non credo fosse né sia questo il punto: ho però creato una principessa molto diversa da quella delle fiabe che mi raccontavano e che amavo, una donna libera ed emancipata, che non si fa scegliere ma che sceglie, padrona della propria vita e del proprio castello, e forse questo era semplicemente il mio modo di immaginare come sarei stata io se fossi stata una principessa, senza capire le implicazioni culturali e sociali che stavo inserendo nella mia fiaba. Mia madre e le mie zie lavoravano, a me dicevano che era importante studiare e un giorno essere autonoma, nonostante tutte le fiabe classiche di cui ero intrisa credo di non aver mai pensato, o desiderato, di stare in un castello in attesa di essere scelta da un principe di passaggio per essere portata a stare in un altro castello. I bambini sanno distinguere il mondo della fantasia da quello della realtà, le bambine desiderano essere astronaute o mediche anche se sognano la Sirenetta.

Nella nuova edizione di C’era una svolta hai dato molto spazio all’illustrazione, riconfermando Sara Lando, già presente nella prima edizione, e facendo partecipare all’avventura anche Alice Basso, Marco Lucente, Alessio Roberti Vittory, Nicola Scodellaro, Umberto Torricelli e – last but not least – Piero Fiorio (nonché il tuo papà). Uno straordinario e sicuramente pirotecnico apporto a un lavoro in cui l’ironia diventa cifra stilistica oltreché linguistica. In percentuale quanto ritieni sia l’influsso che l’illustrazione ha nella percezione della fiaba e dei suoi personaggi e nel nostro modo di ricordarla?

Mah, io ricordo soprattutto le fiabe raccontate a voce, senza il supporto di nessuna immagine. Ma ai miei tempi non c’erano internet e neanche tanta televisione, si andava a letto dopo Carosello e durante il giorno si giocava o si facevano i compiti.

Poi, chiaro, per i bambini le immagini sono importanti e se mi dici “Cenerentola” a me viene subito in mente quella della Disney, con i topini, la fatina, il gatto Lucifero, la matrigna, Anastasia e Genoveffa e il vestito cucito dagli animaletti. Nella nuova edizione di C’era una svolta ho voluto e amato avere al mio fianco, e al fianco di quelle fiabe, le illustrazioni di sei miei amici (più il mio papà) contando sulla loro creatività e sulla loro ironia: speravo si divertissero, si sono divertiti, ci hanno divertito. Quello per me è un grosso valore aggiunto di quel libro.

Dal 2014 sei responsabile di un corso di scrittura creativa online chiamato GSSP ovvero Gruppo di Supporto Scrittori Pigri, che ha visto nel tempo molte versioni per affrontare temi più specifici e probabilmente per andare incontro all’astinenza che si crea in coloro che ne frequentano uno e cadono irrimediabilmente nel vizio della scrittura. L’idea di un supporto per scrittori che si definiscono pigri – e che quindi, in sostanza, non scrivono ma si cullano nell’idea che un giorno lo faranno – è nata perché, come spesso racconti, anche per te c’è voluto tempo per capire che la scrittrice era proprio quello che volevi essere? Hai già fatto o ti piacerebbe fare un GSSP per scrittori di fiabe?

Il Gruppo di Supporto Scrittori Pigri è una costola del Gruppo di Supporto Fotografi Pigri di Sara Lando e nasce sì, come hai detto tu, per elidere gli alibi che spesso le persone si danno: vorrei scrivere ma il lavoro/i bambini/la palestra/il marito/la moglie/e molti altri eccetera.

Questo è un laboratorio interamente online, su un forum riservato agli iscritti dove si può entrare, gironzolare e partecipare quando si vuole e per quanto si vuole, per tre mesi.

Niente alibi, quindi, perché il tempo lo si trova (basta sottrarlo ai social ed ecco che ce n’è abbastanza per più GSSP) e si può essere pigri anche perché lo si può frequentare stando sul divano in tuta e calzettoni. I GSSP sono due: quello di gennaio sulle tecniche narrative e quello di settembre sulla costruzione di un romanzo (ciascuno il proprio, ma tutti insieme nello stesso percorso). Più di due all’anno non riesco a farne, per me sono molto impegnativi.

Grazie al GSSP ho capito che mi piace trasmettere la mia esperienza agli altri. Alcuni lo chiamano insegnare: io non so se insegno nel senso canonico del termine, ma credo di offrire la possibilità di imparare da ciò che ho imparato io o che io so fare.

Come dico sempre ai miei Scrittori Pigri, quello che spero di lasciargli sono maggiori consapevolezza e padronanza della scrittura e la capacità di vedere nei testi cose che magari prima non vedevano.

E anche una conoscenza migliore del lavoro che c'è dietro la scrittura e dietro un romanzo, della fatica, dello studio, nei ragionamenti, degli strumenti. Un rispetto diverso dei libri pubblicati e del lavoro del mondo editoriale. E forse anche un modo diverso di leggere.




Foto di Sara Lando
Foto di Sara Lando

Barbara Fiorio

Nata a Genova, dove vive e scrive libri, è consulente e docente di comunicazione e tiene laboratori di scrittura, ironica e narrativa, tra cui il Gruppo di Supporto Scrittori Pigri (GSSP), giunto alla decima edizione. Nel 2009 ha esordito con “C’era una svolta” (Eumeswil) per poi dedicarsi ai romanzi:Chanel non fa scarpette di cristallo” (Castelvecchi, 2011), “Buona fortuna” (Mondadori, 2013 – ed. spagnola per Suma de letras, 2014), “Qualcosa di vero” (Feltrinelli, 2015 – ed. tedesca per Thiele-Verlag, 2016) e “Vittoria” (Feltrinelli, 2018).

Nel 2019 è tornata in libreria con “C’era una svolta” (Morellini), l’ironica raccolta di fiabe in una nuova edizione corredata da illustrazioni originali e cinque nuovi racconti, per festeggiarne il decennale. Per Einaudi ha scritto il racconto “La gattara” (antologia “Gatti – I racconti più belli”, 2015), per Morellini ha scritto il racconto “Noi eravamo quelli che” sull’alluvione del 2014 (antologia “Genova d’autore”, 2017) e “Era ora” (antologia “Lettere al padre”, 2020), per “Il Canneto” ha scritto il racconto “Laura e Carlo” (antologia “Il ponte”, a sostegno della Valpocevera dopo il crollo del Ponte Morandi di Genova, 2018) e per Genova Capitale della cultura d’impresa 2019 ha scritto il racconto “Quaranta chili di insalata “sull’Acquario di Genova (antologia Chiamami impresa realizzata da Contatti in edizione limitata).

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