di Connie Bandini
Racconto finalista del Genova BookPop Contest 2023
Ma si può sapere chi è quella? Mi sta sempre appiccicata. Una bella ragazza, per carità. E tanto gentile. Ma non è la mamma, anche se qualcosa nei suoi occhi dal colore dei quadrifogli me la ricorda. Ecco come si chiamano! Ci ho pensato tutto il pomeriggio, ieri, al nome di quei portafortuna che trovi nei campi una volta ogni millemila anni, ma non c’è stato verso che mi venisse in mente. Ricordavo solo che una volta – forse l’anno scorso, o magari ieri, chissà – ne ho fatto seccare uno tra le pagine di un libro, quello che davanti ha il disegno di una bambina con le trecce, una sciarpa di lana arrotolata al collo e mille puntini sul naso.
Ora però non saprei dire né il titolo del libro e né che fine ha fatto il portafortuna.
Ora ho solo questa specie di fischietto attaccato al collo, che quella ragazza me l’ha ripetuto cento volte stamattina: «Mi raccomando, non te lo sfilare mai. Serve per individuare dove sei, nel caso ti perdessi.»
Esagerata! Mica siamo in quella città, quella grande con le case altissime che fanno il solletico alle nuvole. Lì sì che potrei perdermi, mica in questa spiaggetta piccola come i fazzoletti da naso che la mamma mi faceva stirare quando la tormentavo, perché volevo fare anch’io le cose dei grandi.
La ragazza dagli occhi color erba mi chiama Fata Smemorina, ma io me lo ricordo che qui, da qualche parte, c’è uno sott’acqua. È una statua. Di un santo. Dev’essere uno bravo a trattenere il fiato, dico io.
Io non so nuotare, o forse ho scordato come si fa. Magari poi la mamma me lo insegna di nuovo. Oppure lo chiederò alla ragazza gentile. Potremmo allenarci mentre siamo qui al mare a … Come diavolo si chiama questo posto? Porticino? Marefino? Uffa, l’ho scordato. Ma chi se ne importa. Adesso mica devo nuotare.
Adesso vorrei tanto uno di quei cosi, quelli che anche i due bambini laggiù stanno leccando. Vediamo se questa volta la memoria funziona. Evviva! Lo sapevo di aver delle monete in tasca. Prima prendo anch’io un affare da leccare, poi vado a salutare il santo sotto l’acqua, se ancora ha voglia di stare laggiù.
Come sono gentili le signorine con la maglietta bianca e il cappellino in testa.
«Va bene tre gusti? Mettiamo un po’ più di fragola? E la panna montata l’aggiungiamo?»
«Va bene tutto. L’importante è che nessuno occupi quella sedia lì fuori, all’ombra.»
«Tranquilla. La sedia ti aspetta. Posto riservato per una cliente speciale.»
Che carine. Appena vedo la mamma, glielo racconto che qui a Porto… Insomma, qui sono tutti molto educati, proprio come piace a lei.
Ma chissà dov’è finita, poi, la mamma. È un po’ che non la vedo.
«Ecco dov’eri.»
L’ho riconosciuta dalla voce, la ragazza che non mi lascia in pace. Ma cosa vuole ancora? Perché si avvicina e i suoi occhi, diventati colore della notte, sono due fessure?
«Mamma.» Oddio, mi ha scambiata per sua madre. Non lo vede che sono una bambina?
«Cos’hai combinato con il gelato?» Si è fermata a un passo da me. Mi guarda. La guardo. Mi osservo la mano, ormai vuota e appiccicaticcia; la sollevo e me la batto in fronte.
«Gelato. Ecco come si chiama.»
Poi la asciugo sulla stoffa dei pantaloni e la intreccio a quella della ragazza dal viso familiare. Ci andremo insieme a cercare il santo che vive sott’acqua.
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