Una luce poco fa (Piccole occasioni di gioia quotidiana)
di Elena Nieddu
Quando ero molto piccola, amavo ascoltare una canzone intitolata “La tartaruga”. Con la costanza che solo i bambini possono avere, porgevo in continuazione a mio padre il 45 giri con la fascetta consumata, affinché lo mettesse sul giradischi con la puntina scoppiettante. “La tartaruga”, firmata da un trio autoriale di tutto rispetto – Bruno Lauzi, Pippo Baudo e Pippo Caruso - racconta la storia di un rettile molto charmant, che si riposa dopo aver assaggiato due foglie di lattuga, o in spiaggia, al termine di un bagno da minimo sindacale, perché il suo vero scopo è crogiolarsi al sole. Dormendo, naturalmente.
Non è sempre stato così, ammonisce la canzone. La tartaruga, un tempo, correva a testa in giù tra un impegno e l’altro, mangiava finger food agli eventi, con l’orecchio incollato al telefonino, non certo cespi di insalata.
“Ma avvenne un incidente, un muro la fermò: si ruppe qualche dente, e allora rallentò…”.
Conosco questa canzone a memoria, non ne ho dimenticato neppure una strofa, la canticchio mentalmente anche adesso mentre scrivo. Sono passati i secoli, fra me e quei momenti. Ho imparato tante cose, sul tempo, e molte altre devo ancora comprenderle. Sarà un caso ma, da adolescente, ho ritrovato la tartaruga in un libro di filosofia. Il paradosso di Zenone: chi è più rapido, Achille o la signora della Terra?
Recentemente, ho capito che, quando si è molto agitati, rallentare i gesti aiuta a calmarsi. Sui sentieri conosciuti, andare piano permette di scoprire cose nuove, fiori delicati o panorami imprevisti; yoga e meditazione mi hanno insegnato che il tempo coincide con lo spazio, ed è importante prenderselo. Ma, per quante riflessioni si riescano a imbastire, per quante citazioni, da Epicuro a Bergson, da Schopenhauer a Platone, si possano buttare sul tavolo, niente è per me così efficace come la storia della tartaruga, anche nel dire il senso recondito delle avversità. Gli incidenti, infatti, ci fanno capire se siamo sulla strada sbagliata. Pazienza, se lasciamo qualche dente tra i binari: una nuotata nel gelato, con il venticello fra le carote, val bene una visita odontoiatrica.
Elena Nieddu
Nata a Genova nel 1974, laureata in Scienze della Comunicazione all’Università degli Studi di Torino, ha conseguito il praticantato giornalistico all’Ifg “Carlo De Martino” di Milano. Nel 2019 è uscito il suo primo libro, “Senza pelle”, edito da Ensemble. Suoi racconti sono stati pubblicati da “Nuovi argomenti”, “La città”, “Letterate Magazine”. Per il quotidiano “Il Secolo XIX” si occupa di cultura, spettacoli e società.
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