L'AMICO AMERICANO.
STORIE D'OLTREOCEANO
di Emanuele Pettener
Florida, da qualche parte.
L’oceano stamattina è un lago: il Lago Atlantico. È la mattina di un marzo ancora giovane, ma la Florida non lo sa e sulle placide acque azzurre il sole brucia e spande migliaia di monete d’oro bianco. Alle mie spalle la giungla di sea grapes, con le loro larghe foglie circolari venate di rosso, da cui spuntano le palme color verde consumato; di fronte a me la battigia, ove si rilassano sparuti bagnanti e sparuti gabbiani; una ragazza, il vestito tirato su e legato con un nodo a metà coscia, i piedi nudi lambiti dall’acqua, passa lieve, contemplata con stupore quasi mistico da un pescatore dal cappello di paglia e la pancia prominente; alcuni nuotano, lenti e felici, nell’aria si ode solo lo sciabordio marino, un sommesso mormorio, e il chiacchiericcio portoghese fra il bagnino brasiliano, dall’alto della sua casupola di legno, e un bagnante muscoloso giù in basso.
Dalla mia variopinta seggiola da spiaggia, annuso l’odore classico della crema solare che mi conduce a estati lontane, estati croate, e sento che è tempo di tuffarmi, abbandono le mie ciabattine nere sulla sabbia, m’incammino, m’immergo. L’acqua è chiara, fresca, dolce, e mi ricorda naturalmente la canzone di Petrarca e l’insegnante che al liceo me la insegnò, mi ricordo delle sue battute, faceva battute tutto il tempo, battute che non facevano ridere, e noi eravamo troppo altezzosi o troppo sgarbati per ridere, e qualche anno dopo quell’insegnante si gettò dall’ultimo piano di un palazzo mestrino.
E nuoto e nuoto, e sono pervaso da mille memorie diverse, m’immergo e nel nitore scorgo pesci d’argento e conchiglie, emergo e all’orizzonte vedo navi e yacht che si stagliano sul cielo blu, e mi sento così vivo, e penso che ieri è morto Luke Perry, il Dylan di Beverly Hills.
Dylan mi risultava piuttosto insopportabile, come tutto il cast, ma lui di più, e mi sembrava pure un pessimo attore, ma convengo che ero un po’ geloso, poiché la fanciulla che allora mi piaceva era innamorata di lui, giravamo per le calli umide di Venezia, dove studiavamo, e lei sospirava: “oh, Dylan!” Che nervi. Trovavo tutti i personaggi stucchevoli, specie quel bravo ragazzo di Brandon, poi quel bravo barista di Nat, ma specialmente Dylan, che era un bravo ragazzo che fingeva di non esserlo, quindi doppiamente fastidioso. Tuttavia, come chiunque altro, aspettavo il giovedì sera con trepidazione: due puntate di fila di Beverly Hills, non me le sarei perse per niente al mondo.
Forse perché Beverly Hills era la mia promessa d’America. Era garanzia ch’ero giovane e il futuro aveva potenzialità illimitate. Era sole, California, giovinezza. Sicché quando quasi trent’anni dopo mi son ritrovato Dylan nei panni del padre di Archie nella serie Riverdale, di cui il mio piccolo non si perde una puntata, mi sono accorto che i miei sentimenti per Dylan erano mutati: è stato come ritrovare un antico rivale, un tale che t’era stato antipatico in gioventù, ma non ti ricordi più il motivo né le ragioni della rivalità: provi solo un insolito, ignoto, irragionevole desiderio di abbracciarlo, di chiedergli scusa se con l’arroganza dei vent’anni lo avevi giudicato un cattivo attore. Ti accorgi che gli sei affezionato – perché faceva parte della tua giovinezza, era parte di quell’organismo meraviglioso, carne e sangue di quegli anni ruggenti.
Per questo nuoto e sento un dispiacere sproporzionato, ridicolo, un piccolo vuoto in mezzo allo stomaco, nuoto e mi rendo conto che in un momento di tale vitalità, nella luce radiosa di questa mattina subtropicale, mi vengono in mente solo persone morte: Petrarca morto allo scrittoio accanto al suo gatto nel 1374, magari pensando a Laura immersa nelle chiare fresche e dolci acque, morta di peste nel 1348, il mio povero professore che faceva battute a cui nessuno rideva, morto ormai dieci anni fa, Dylan, morto ieri. Non ha senso che nel cuore pulsante di tanta bellezza, io pensi a loro. O forse sì.
Emanuele Pettener, nato a Mestre, insegna Lingua e Letteratura italiana alla Florida Atlantic University (Boca Raton, Florida), dove nel 2004 ha conseguito un Ph.D in Comparative Studies. Ha scritto numerosi articoli e racconti apparsi su riviste statunitensi e italiane. È autore dei romanzi È sabato mi hai lasciato e sono bellissimo (Corbo, 2009), Proust per bagnanti (Meligrana, 2013), Arancio (Meligrana, 2014), e Floridiana (Arkadia, 2021). Ha pubblicato il saggio Nel nome del padre del figlio e dell’umorismo. I romanzi di John Fante (Cesati, 2010) e, in inglese, la raccolta di brevi racconti A Season in Florida (Bordighera Press, 2014, traduzione di Thomas de Angelis).
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